La web economy ha avvolto totalmente la società e cambiato tantissimi aspetti della vita socio-economica dei paesi industrializzati.
Da industria 4.0 a web economy il passo è stato davvero breve. Non tutti lo sanno ma gli esperti parlano sempre più spesso di web economy, ossia di quell’economia che si basa sulle tecnologie informatiche che ne rappresentano il pilastro, vale a dire l’economia che ruota attorno al digitale.
Qualcuno accosta l’economia digitale all’Internet economy o alla Web economy ma di fatto l’economia digitale ha un raggio molto più ampio rispetto a quello della Rete, visto che fanno parte della digital economy anche strumenti hardware e software.
Il primo a parlare di Digital Economy è stato nel 1995 Don Tapscott nel libro, divenuto presto un best seller, “The Digital Economy: Promise and Peril in the Age of Networked Intelligence”. Dopo di lui numerosi sono stati gli studiosi, gli economisti e gli specialisti mondiali che si sono dedicati ad analizzare un “fenomeno” tutto in evoluzione.
La web economy non ha avuto un peso soltanto sul mondo dei mercati o delle tecnologie, la sua ombra ha avvolto totalmente la società e cambiato tantissimi aspetti della vita socio-economica dei paesi industrializzati ed ha interessato diversi settori, dal mondo del lavoro all’universo ludico con i giochi online come i giochi da tavolo in italiano che troviamo su Starcasinò. Un esempio è l’e-Government, una realtà sempre più diffusa, dove l’amministrazione pubblica diventa digitale, permettendo un contatto e un accesso al suo pubblico più diretto e immediato, snellendo i tempi burocratici e le difficoltà.
Indubbiamente ha cambiato la ricezione e la fruizione dell’informazioni, oggi siamo fin troppo bombardati di notizie, di tutti i tipi, e ci è quasi difficile concepire la differenza tra ciò che è reale e ciò che non lo è (le cosiddette Fake News). Questo aspetto è importante perché ci permette di essere sempre aggiornati sul mutamento di questo nuovo mondo e ci aiuta a sapere come investire al meglio il nostro danaro.
La situazione in Italia
In Italia lo scenario legato alla web economy è particolarmente positivo. Secondo gli esperti, infatti, la web-economy italiana continuerà a crescere del 18% annuo per i prossimi 5 anni, ad un ritmo quindi considerevolmente più elevato di quello della Gran Bretagna (12%), della Cina (8%) e degli Stati Uniti (7%). Lo sostiene una proiezione di AJ-Com.Net che per la nostra web economy -nonostante il crollo del settore del turismo- stima una crescita del 10% maggiore rispetto al previsto.
Se prima del Coronavirus la domanda dell’e-commerce era trainata prevalentemente dal settore del turismo (20 miliardi di euro nel 2018), nel 2020 la bilancia si sposta verso altri settori, a partire dal food e beverage (24 miliardi di euro), advertising, marketing e relazioni pubbliche (14 miliardi), abbigliamento (12 miliardi), arredamento (11 miliardi), informatica ed elettronica (9,4 miliardi), incontri e dating online (8 miliardi), farmaceutico, wellness e beauty (7 miliardi), editoria, dvd e multimediali (6 miliardi), assicurazioni (4 miliardi), auto, moto e ricambi (1,2 miliardi) e beauty (1 miliardo).
Secondo quanto osserva AJ-Com.Net, negli anni che verranno la web-economy avrà un valore sempre maggiore rispetto ai settori economici tradizionali. Nel 2020 si arriverà al 48% della popolazione planetaria che utilizzerà i canali digitali per fare acquisti.
Ma la new economy ha introdotto anche nuovi posti di lavoro. Per questo gli esperti parlano di Net Economy, cioè l’economia legata direttamente e indirettamente alla Rete e al suo sviluppo. Secondo l’ISTAT in Italia i lavoratori direttamente legati al Web e alle comunicazioni in rete, sarebbero ben il 10% del settore dei servizi, e ne è previsto l’aumento nei prossimi anni.
Le esigenze delle aziende si sono modificate, allo stesso tempo la geografia dei posti di lavoro va assumendo una conformazione molto diversa da quella che ha avuto per molto tempo: emergono nuove professionalità di livello più elevato e viene meno la necessità di professionalità meno qualificate.
Negli ultimi dieci anni l’industria italiana ha registrato 872 mila posti di lavoro in meno, che con alta probabilità non torneranno più. Allo stesso tempo sempre più professionisti, circa 721 mila unità, hanno trovato un posto nelle realtà che si occupano di servizi alle imprese.
Da qui al 2021 si stima che l’occupazione crescerà, ma non si tornerà ai livelli pre-crisi. Nello specifico riguardo il settore industria e costruzioni si assisterà a un ulteriore contrazione, solo nel 2025 il settore comincerà a esprimere un fabbisogno positivo. Secondo le previsioni di Unioncamere nel 2021 ci saranno 250 mila nuove entrate. Saranno segnati da involuzione i comparti della meccanica, elettronica e costruzioni.