Gli investitori dovrebbero ricalibrare l’enfasi dei rispettivi portafogli spostandola dalla generazione di rendimenti sopra la media alla valutazione del rischio.
Con la fine del 2018, il mercato pullula sempre più di analisi che stilano un bilancio dell’anno trascorso e di previsioni sui rendimenti per quello a venire. Tuttavia, fare previsioni è un esercizio difficile, soprattutto quando si tenta di ipotizzare i rendimenti di mercato su un arco di 12 mesi.
Nella forma più semplice, i mercati di investimento costituiscono una piazza dove chi è alla ricerca e chi dispone di capitale può scambiare denaro oggi con la speranza, o la promessa, di ottenere la restituzione del capitale in futuro.
Pertanto, i prezzi degli attivi riflettono in ultima analisi i cash flow futuri. Quando questi ultimi non si manifestano come auspicato (oppure, al contrario, quando superano le aspettative), il meccanismo di sconto dei mercati dei capitali adegua di conseguenza i prezzi.
A questo punto la domanda sorge spontanea: cos’è che muove i cash flow?
Riteniamo che i fattori principali siano quattro: unità, prezzo, margine e utili.
Sul lungo periodo, i fondamentali determineranno i cash flow, che a loro volta influiscono sui prezzi degli attivi. Nell’attività quotidiana, tuttavia, l’orientamento a breve termine del mercato e l’eccessivo affidamento su informazioni che talvolta si rivelano irrilevanti possono tradursi in efficienze sul lungo periodo.
Alla luce di ciò, prevedere efficacemente l’andamento dei mercati sul breve periodo è un esercizio non semplice, eppure è certo che i market strategist vi si diletteranno abbondantemente nelle prossime settimane.
Uscendo dalla crisi del 2008, le società hanno osservato un aumento dei margini netti riconducibile al calo dei costi di produzione. Eppure, a tre o quattro anni dall’inizio del ciclo economico, la crescita globale stava ancora facendo i conti con i postumi della crisi finanziaria.
Mentre i margini apparivano insolitamente elevati, la crescita in termini unitari e il pricing power restavano modesti.
Molte società hanno fatto ricorso al proprio bilancio per sostenere i livelli di crescita del free cash flow, e i mercati del credito sono stati ben lieti di concedere finanziamenti.
Con la fine del ciclo, le emissioni di obbligazioni e i coefficienti di leva finanziaria sono cresciuti e la qualità complessiva del mercato delle obbligazioni corporate ha subito un deterioramento.
In ogni caso, che le preoccupazioni sul credito si manifestino nel 2019 o molto più avanti, il rapporto di indebitamento resta la fonte di preoccupazione comune, giacché una società altamente indebitata ha meno controllo sul proprio destino.
Più a lungo termine, in termini di aspettative sui mercati dei capitali per i prossimi 10 anni, è ipotizzabile una contrazione dei rendimenti sostanziale rispetto a quanto osservato nel decennio precedente.
In generale, i mercati potrebbero rallentare rispetto ai rendimenti sopra la media osservati negli ultimi trent’anni.
In conclusione, gli investitori dovrebbero ricalibrare l’enfasi dei rispettivi portafogli spostandola dalla generazione di rendimenti sopra la media alla valutazione del rischio. Giudizio e selettività dovrebbero diventare una priorità a questo punto del ciclo economico.
Commento a cura di Robert M.Almeida, Jr, Global Investment Strategist di MFS