L’inflazione non accenna a diminuire. La Fed ha indicato l’imminenza di un ciclo di inasprimento della politica monetaria.
Per la maggior parte del 2021 mentre i prezzi al consumo negli Stati Uniti superavano le previsioni, la Fed continuava a raccomandare pazienza, affermando che l’impennata dell’inflazione sarebbe stata solo temporanea.
Tuttavia, l’inflazione non accenna a diminuire. Durante la riunione di gennaio, i toni della banca centrale sono divenuti decisamente più restrittivi; l’istituto ha indicato l’imminenza di un ciclo di inasprimento della politica monetaria potenzialmente più aggressivo del precedente.
Intanto il mercato ha anticipato la Fed, scontando almeno quattro rialzi dei tassi di 25 punti base nei prossimi 12 mesi, e molti analisti prevedono una stretta monetaria ancora più pronunciata.
La reazione della curva dei Treasury USA è stata interessante e significativa. Sul lato a breve (con scadenza massima a due anni) e sulla parte intermedia della curva (il segmento tra tre e sette anni) i rendimenti hanno registrato un’impennata.
I rendimenti a lungo (da 10 a 30 anni) sono invece aumentati molto meno. Il mercato sembra fermamente convinto che la Fed non potrà alzare di molto i tassi oltre il livello dell’1,75%, pari all’incirca a quello a cui si trovavano prima della pandemia.
Questo pronunciato “bear flattening” della curva (con un maggiore aumento dei rendimenti sul lato a breve rispetto a quelli a lungo) appare sensato se si ritiene che la Fed non dovrà alzare di molto i tassi per far scendere l’inflazione e frenare la crescita o che un orientamento eccessivamente aggressivo della banca centrale rischierebbe di scatenare una recessione.
Se tuttavia l’inflazione si dimostrerà più vischiosa dei rialzi della Fed e l’inasprimento delle condizioni finanziarie non sarà sufficiente a ridurre la crescita, l’istituto di Washington probabilmente interverrà portando i tassi almeno intorno al 2,50%, il livello considerato neutrale. In questo scenario, il tratto a breve della curva dei Treasury continuerebbe la sua scalata ma, aspetto forse più importante, anche i rendimenti più a lungo termine con scadenze pari o superiori a 10 anni registrerebbero probabilmente un significativo aumento.
Se la storia è maestra, la curva proseguirà il suo appiattimento durante il ciclo d’inasprimento fino a divenire quasi del tutto piatta. Ma quando si concluderà l’appiattimento? Intorno all’1,75%, come il mercato sembra prevedere, o in prossimità del 2,50%?
L’output gap (l’eccesso di capacità) dell’economia statunitense si è praticamente chiuso, il tasso di disoccupazione è quasi tornato ai livelli storicamente bassi precedenti la pandemia, la crescita dei salari è sostenuta e i colli di bottiglia globali vanno attenuandosi solo lentamente, per cui si direbbe che il mercato sottovaluti le probabilità che la Fed si trovi a dover spingere il tasso di riferimento oltre l’1,75%.
Pertanto il rischio maggiore è che con il tempo la curva dei Treasury diventi molto piatta con rendimenti su livelli superiori all’1,75% e forse addirittura al 2,00%.
Se queste previsioni sono corrette, l’intera curva ci appare costosa, ma il segmento intermedio sembrerebbe il più vulnerabile. I rischi a cui è sottoposto questo scenario comprendono una risoluzione rapida che farebbe salire l’offerta globale attenuando le pressioni sui prezzi; la parziale sostituzione del quantitative tightening ai rialzi dei tassi di riferimento (il che consentirebbe al bilancio della Fed di ridursi); e un crollo dei listini azionari e conseguente sospensione del ciclo d’inasprimento da parte della banca centrale statunitense.
Commento a cura di Erik S. Weisman – MFS