Con gli “Stati Uniti d’Europa” e la nuova figura di Ministro del Tesoro europeo il “disallineamento economico” del Mezzogiorno d’Italia, le carenze strutturali a livello nazionale ed europee sarebbero temi e problemi più facilmente supportabili e risolvibili.
E’ inutile insistere sulla rilevanza dell’indicatore di marca europea (“output gap”) che “esprime la situazione dei conti pubblici coerente con il prodotto potenziale dell’economia, al netto della componente ciclica e delle misure di bilancio una tantum”.
Bruxelles è preoccupata per la nostra stagnazione economica e dà credito agli indicatori che la rappresentano. E’ complicato guardare con favore un Paese che butta all’aria 80 miliardi di euro ogni anno per interessi sulla montagna del suo debito pubblico.
Meglio battersi in Europa per neutralizzare e accollare alla BCE la parte di debito pubblico eccedente il 60% rispetto al PIL. E’ il parametro fondamentale dettato dall’UE ed è questa la strada da seguire per poter progettare una crescita possibile.
Questa misura eccezionale in favore dei Paesi dell’Unione con rapporto debito/pil superiore al 60%, a partire dai 18 a moneta euro, andrebbe coniugata con la nomina del Ministro del Tesoro europeo, con “visione complessiva” e poteri di intervento su politiche fiscali e di spesa comunitarie.
Al Ministro del Tesoro UE, in sintonia decisionale con il Parlamento europeo, sarebbe parimenti attribuita la facoltà di emettere Eurobond per finanziare investimenti nelle zone con alta disoccupazione e carenti di strutture produttive.
Da qui si capirebbe se c’è effettiva volontà di fare il salto di qualità e di sostanza e di pervenire, tutti assieme, agli “Stati Uniti d’Europa”.
Il referendum del 23 giugno 2016 improvvidamente propugnato dal britannico David Cameron potrebbe rappresentare lo “shock termico” che giunge al momento opportuno, provvidenziale, per la “rivisitazione e risistemazione” di elementi sconclusionati della incompleta costruzione europea.
Vista la scarsa sintonia tra Gran Bretagna (o meglio classe politica locale) e dirigenza dell’Unione europea, il progetto referendario inglese potrebbe portare ad una rottura del “Patto comunitario” (moneta unica compresa) o, al contrario, potrebbe rappresentare la molla che porta al suo completamento ed al suo profittevole funzionamento in prospettiva storica.
Occorre cogliere la palla al balzo. Inutile dire che tra i tanti problemi che caratterizzano la vita dei 18 Paesi aderenti all’Euro-zona (fiscale, normativo, giudiziario, amministrativo, ecc.) quello relativo al peso del “debito pubblico” dei partecipanti al patto monetario appare condizionante e portatore di diffidenza non celata tra la Germania (in particolare) ed altri componenti interessati al problema (Italia in primis).
E’ inutile insistere: gli Stati direttamente interessati (Italia in testa in uno a Grecia e Portogallo) non riescono a perseguire l’allettante obiettivo del rapporto tra debito pubblico e Pil pari al 60%, di cui al trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 e decorrenza 1° novembre 1993, nonostante i tentativi continuativamente posti in essere.
Il nostro Paese registra un rapporto tra debito pubblico (2.190 miliardi di euro) e PIL nazionale pari al 132,5 per cento.
Per ridurre detto rapporto del 132,5 per cento a quello immaginato e programmato del 60 per cento, il Governo italiano dovrebbe “liberare”, meglio “rimborsare circa mille miliardi di euro di buoni del tesoro emessi a più riprese per rifinanziarsi.
All’operazione straordinaria sopra ipotizzata provvederebbe la BCE, assumendo su di se i mille miliardi in questione, e riportando la situazione finanziaria italiana ad un punto di partenza tale da renderla allineata e competitiva rispetto agli altri 17 partecipanti al “gioco” della moneta unica e condivisa.
Ovviamente il parametro del 60 per cento tra debito e Pil potrebbe essere rimodulato ad un livello più o meno elevato in rapporto alle convenienze ed alle intuizioni che la politica europea ritenesse opportune e sopportabili, per il bene di tutta la Comunità, con estensione anche agli altri dieci Paesi dell’Unione, al momento non allineati monetariamente.
Qualcuno potrebbe osservare che i mille miliardi di euro ”abbuonati” all’Italia sono un favore eccessivo.
A questa osservazione, di per se legittima, si può argomentare che i mille miliardi caricati a debito pubblico italiano sono stati comunque spesi, in massima parte, nella Comunità europea ed a beneficio di aziende ed istituzioni comunitarie ed hanno, in tal modo, apportato direttamente e indirettamente giro d’affari e reddito ai molteplici destinatari.
All’intervento diretto sul rapporto debito/Pil, per certi versi eccezionale, corrisponderebbe inevitabilmente un maggior peso dell’organo comunitario nella definizione delle linee di condotta dei singoli Stati “bonificati” e, all’occorrenza, nella gestione diretta delle rispettive “macchine normative ed amministrative”.
Con gli “Stati Uniti d’Europa” e con la nuova figura di Ministro del Tesoro europeo il “disallineamento economico” del Mezzogiorno d’Italia, le carenze strutturali a livello nazionale ed europee sarebbero temi e problemi più facilmente supportabili e risolvibili.
Commento a cura di Sàntolo Cannavale – www.santolocannavale.it