Azionario: scenario positivo nel breve termine

Guardando oltre i fondamentali, permangono fattori di sostegno per il comparto azionario nel breve termine.

mercato azionario mercati finanziariCon la sessione di utili del terzo trimestre alle spalle e gli investitori che guardano al futuro del mercato azionario, è opportuno distinguere tra fattori di breve e lungo termine.

Nel breve, il contesto di riferimento per i titoli azionari appare favorevole, ma meno di quanto lo era un paio di mesi fa, dato che si stanno accumulando pressioni che per alcune imprese potrebbero trasformarsi in forti venti contrari. Sebbene sia difficile sapere quando queste raggiungeranno un punto di svolta, a nostro avviso sembra troppo presto per ritirarsi, prefigurando uno scenario negativo e perdendo la posizione.

I fattori a breve termine rimangono positivi

Il terzo trimestre del 2019 è stato uno dei più difficili per le imprese. Per quelle parte del S&P 500, le vendite aggregate sono cresciute del 3,6% rispetto all’anno precedente, mentre i ricavi sono diminuiti dell’1%. Le aziende dell’indice STOXX Europe 600 hanno registrato una leggera crescita del fatturato aggregato (+1%), ma la curva degli utili è rimasta piatta (+0,2%).

I margini di profitto hanno subito un’ulteriore contrazione, pur rimanendo elevati per entrambi le regioni (10% per lo S&P 500, 7% per lo STOXX Europe 600). È interessante notare che l’aumento dei costi è stato per lo più attribuito a tariffe più elevate piuttosto che alla pressione salariale o ad altre cause tipiche, dato che le imprese hanno cercato di assorbire l’impatto della guerra commerciale sui loro margini di profitto anziché aumentare i prezzi.

Tuttavia, le manovre di mercato sono basate sulle aspettative, e il loro basso livello per il trimestre appena trascorso ha contribuito a sostenere i titoli azionari: il 79% delle imprese dell’S&P 500 ha battuto le attese sugli utili, mentre per lo STOXX Europe 600 la cifra era del 57%.

Sebbene le aspettative per il 2020 rimangono elevate (10% di crescita degli utili a livello globale), per quest’anno restano relativamente contenute (meno dell’1% a livello globale, con gli Stati Uniti di poco sopra l’1%), il che indica che una buona chiusura d’anno avrebbe un impatto positivo limitato per il mercato.

Guardando oltre i fondamentali, continuiamo a vedere fattori di sostegno per il comparto azionario nel breve termine. La crescita globale è rimasta stabile intorno al potenziale per alcuni mesi e – se il punto più critico dell’impatto dei dazi è stato superato – potrebbe aumentare man mano che le aspettative sul futuro migliorano.

I mercati sembrano aver prezzato alcuni rischi di coda (guerra commerciale, Brexit, ecc.), ma non all’interno di uno scenario di crescita più sano. Infatti, l’elemento più importante nell’analisi dei componenti principali, all’interno di un ampio paniere di rendimenti degli asset – cioè il growth factor – è notevolmente migliorato dall’inizio dell’anno, ma rimane al di sotto dei suoi livelli dalla fine del 2016, quando la crescita globale era anch’essa stabile intorno al potenziale. Inoltre, i flussi nell’azionario globale sono stati fortemente negativi nel corso dell’anno, soprattutto tra gli investitori retail.

È interessante notare che invece i flussi istituzionali hanno iniziato a invertire la tendenza da pochi mesi e sembrano ora essere nettamente positivi, anche se non in misura sufficiente da compensare i flussi retail, che solo ora mostrano segni di svolta.

Come abbiamo scritto la scorsa settimana, le valutazioni relative al comparto azionario hanno iniziato ad aumentare, tanto da non essere più a buon mercato, ma ciò non significa che siano molto costose. Ad esempio, il rapporto P/E per l’indice MSCI ACWI è attualmente a 15,8 su base annuale, appena al di sopra della sua media a lungo termine (14,4).

Anche la suddivisione tra mercati sviluppati ed emergenti non cambia molto il quadro: l’indice MSCI World (mercati sviluppati) ha attualmente un P/E di 16,4 contro una media a lungo termine di 14,9 e l’indice MSCI Emerging Markets ha un P/E di 12,3 (vs 11,5).

Inoltre, da una prospettiva cross asset, il dividend yield per la maggior parte degli indici azionari è superiore al rendimento delle obbligazioni decennali delle amministrazioni locali, il che riflette la valutazione ancora più costosa delle obbligazioni nominali sovrane.

Continuiamo a tenere d’occhio i fattori a lungo termine

Mentre il quadro per l’azionario ci sembra abbastanza positivo nel breve termine, ci sono nuvole che si stanno addensando all’orizzonte e che stiamo osservando da vicino. In primo luogo, quest’anno la politica monetaria ha rappresentato il principale vento a favore per le azioni.

Ad esempio, l’EPS per le imprese dell’S&P 500 è stato sostanzialmente piatto, mentre il rendimento delle obbligazioni a 10 anni è sceso di circa 100pb.

Mantenendo costanti i premi per il rischio azionario, questa variazione del tasso di sconto implicherebbe un rendimento del 20% circa, rappresentando la quasi totalità del 24% del rendimento dell’S&P 500. Tuttavia, a meno di un significativo rallentamento dell’economia nel 2020 (che non è il nostro scenario di riferimento), la politica monetaria sembra destinata a restare in stand-by per la maggior parte del 2020, togliendo un importante sostegno ai mercati azionari.

Le condizioni finanziarie favorevoli hanno permesso alle imprese, soprattutto negli Stati Uniti, di finanziarsi con prestiti a bassi tassi. Per gran parte dell’espansione post-crisi, questa maggiore leva finanziaria è stata compensata dall’aumento dei profitti.

Pertanto, mentre l’indebitamento netto complessivo, secondo l’indice Russell 3000, è cresciuto costantemente ogni trimestre negli ultimi cinque anni, è invece rimasto stabile a circa 1,5 volte l’EBITDA fino all’ultimo paio di trimestri, quando ha registrato una crescita di 2 volte l’EBITDA in quanto l’aumento del debito netto è stato superiore a quello degli utili.

Il quadro aggregato può offuscare le sacche di rischio, però quando guardiamo più nel dettaglio, questo è sì preoccupante ma non allarmante: dal 2010, il debito netto calcolato come multiplo dell’EBITDA è aumentato per le aziende statunitensi rimanendo al di sotto dei livelli visti prima della crisi finanziaria. In effetti, l’indebitamento netto dell’impresa mediana è ora pari a 2 volte l’EBITDA, ma è ben al di sotto del multiplo di 3,5 volte registrato in media dal 2002 al 2006.

Lo stesso vale per i tassi d’interesse di copertura delle imprese, che sono peggiorati ma non sono allarmanti. Tuttavia, se queste tendenze dovessero continuare, a causa di un aumento dei prestiti, di tassi d’interesse più elevati o di un calo degli utili, gli investitori potrebbero cominciare a mettere in dubbio la capacità delle imprese di mantenere la redditività di fronte ai loro obblighi debitori.

Infine, la politica fiscale negli Stati Uniti diventerà centrale nelle scelte degli investitori all’inizio del prossimo anno, con l’arrivo delle primarie presidenziali.

Dalle dichiarazioni fatte finora, sembra che tutti gli attuali candidati Democratici ribalteranno i tagli fiscali del 2017, compreso l’innalzamento dell’aliquota dell’imposta sulle società dal 21% al 35% (almeno).

Poiché i tagli fiscali hanno portato a un miglioramento quasi uno-a-uno per l’EPS, è probabile che esso diminuirà di circa il 14%: se ciò dovesse verificarsi rappresenterebbe un significativo fattore sfavorevole per le quotazioni azionarie statunitensi.

Tuttavia, per attuare un tale rollback, i Democratici dovrebbero controllare entrambe le camere del Congresso, e le loro possibilità di ribaltare il Senato rimangono incerte.

Nel caso in cui si verificasse un allineamento tra sondaggi che danno per probabile una presidenza democratica unita al controllo del Senato, i rischi al ribasso per l’azionario americano aumenterebbero in modo significativo.

Sebbene questi rischi sono significativi e non devono essere ignorati, rimangono ancora all’orizzonte.

Nel frattempo, il contesto relativo al comparto azionario rimane positivo e riteniamo che ci sia spazio per un ulteriore miglioramento nei prossimi mesi.

Ci sono certamente dei rischi, come il deterioramento dei negoziati commerciali, ma non fanno parte del nostro scenario centrale e quindi preferiamo un posizionamento attraverso strutture opzionali, mantenendo il nostro bias pro-equity.

Commento a cura del Cross Asset Solutions (CAS) team di Unigestion

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