Non sono soltanto le banche centrali a determinare i movimenti sui mercati finanziari, ma anche le decisioni politiche.
Non sono soltanto le Banche centrali a determinare i movimenti sui mercati finanziari, ma anche le decisioni politiche. Ai primi di settembre, Donald Trump e i Democratici hanno raggiunto un accordo per un aumento temporaneo del tetto del debito pubblico statunitense, innalzando quindi il limite legale a indebitarsi del governo federale.
Potranno così essere erogati gli aiuti agli Stati del Texas e della Louisiana, duramente colpiti dall’uragano Harvey. Tuttavia, il tetto del debito rimane motivo di scontro. A dicembre i Repubblicani dovranno riaprire un tavolo di negoziato con i Democratici sull’argomento.
Se il tetto del debito non verrà innalzato, il governo statunitense dovrà effettuare drastici tagli alla spesa. Con il rischio non solo di scatenare una crisi economica, ma anche di accrescere il rischio di default. È per questo che i rendimenti dei Titoli di Stato a breve termine con scadenza ad ottobre sono scesi bruscamente mentre quelli dei titoli che scadono in dicembre sono aumentati.
Fronte monetario
A fine agosto i banchieri centrali si sono incontrati al consueto appuntamento annuale di Jackson Hole. La riunione si è rivelata un “non evento” per i mercati finanziari. Si è discusso del lungo termine senza che nulla trapelasse sulla direzione futura da imprimere alla politica monetaria.
Anche dalla riunione di settembre della Banca centrale europea non sono emersi segnali decisivi. Il board della BCE ha discusso del programma di riduzione degli acquisti di asset, ma non ha annunciato decisioni tangibili per il breve periodo.
Ci aspettiamo un annuncio sul tapering ad ottobre e pensiamo che i programmi di acquisti di asset inizieranno ad essere ridimensionati dal gennaio 2018. Il rischio di un ribasso dell’inflazione è aumentato a causa dell’apprezzamento dell’euro, ma la crescita nell’Eurozona rimane robusta. Le elezioni politiche in Germania, previste per fine mese, non modificheranno la situazione.
Mentre i mercati attualmente scontano tutt’al più un altro aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti fino alla fine del 2018, ci aspettiamo un aumento dei tassi nel 2017 e due o tre nel 2018. Con le dimissioni a sorpresa di Stanley Fischer, vicepresidente della Fed, è più probabile che la Banca centrale statunitense non procederà a molti aumenti dei tassi.
E comunque i mercati hanno già anticipato un numero limitato di rialzi dei tassi di interesse. Contrariamente ai mercati, continuiamo a pensare che ci saranno più aumenti dei tassi e che i rendimenti dei Titoli di Stato saliranno.
Ancora tensioni con la penisola coreana
Le tensioni geopolitiche con la penisola coreana rischiano di protrarsi per qualche tempo. Ora che la Corea del Nord ha effettuato con chiaro successo il suo test nucleare, è evidente che è ormai troppo tardi per negoziare il disarmo nucleare totale di Pyongyang.
Il mondo farà bene ad accettare l’idea che la Corea del Nord è una potenza nucleare. Non riteniamo che la situazione si degraderà: la posta in gioco è molto alta per la Corea del Nord e per il resto del mondo e a nessuno conviene andare oltre questo braccio di ferro politico.
Una brusca correzione dei mercati finanziari rappresenterebbe il momento giusto per acquistare titoli, a nostro parere, tenuto conto dell’outlook economico solido e del consolidamento al quale abbiamo assistito quest’estate.
Per quanto riguarda gli investimenti azionari privilegiamo i mercati emergenti. Abbiamo una view positiva anche sul Giappone. Anche se le azioni nipponiche non sono a buon mercato, tutti gli indicatori economici sono attualmente posizionati sul verde.
Gli indicatori avanzati riflettono una ripresa della crescita e l’inflazione bassa significa che la Banca centrale giapponese conferma il mantenimento di una politica monetaria accomodante, più a lungo delle altre banche centrali.
Commento a cura di Ruth van de Belt, Investment Strategist – Kempen Capital Management