Sebbene il consumo globale di petrolio sia più che triplicato dagli anni ’70, l’intensità di consumo di greggio è calata significativamente.
Ogni volta che l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (“OPEC”) annuncia tagli alla quote di produzione, i prezzi del petrolio tendono a salire immediatamente e questo ha sempre alimentato i timori di recessione globale.
Tuttavia, dal momento che l’OPEC controlla solo il 35% della produzione mondiale di petrolio, il suo potere sui prezzi si è significativamente ridotto. Inoltre, la dipendenza dal greggio per l’economia globale è diminuita nel corso degli ultimi cinque decenni.
Nella riunione di Algeri, alla fine del mese di settembre, l’OPEC ha espresso la volontà di limitare la propria produzione di petrolio tra i 32,5 e i 33 milioni di barili al giorno. Questo annuncio ha spinto rapidamente al rialzo il prezzo del petrolio di quasi l’8%, a 50 dollari USA. Quali membri dovranno sopportare il peso dei tagli alla produzione sarà discusso nella prossima conferenza dell’OPEC nel mese di novembre. Resta comunque da vedere se l’OPEC sarà in grado di realizzare il suo piano.
Un argomento a favore è che i paesi del cartello OPEC vorrebbero vedere un prezzo del petrolio più elevato. Tuttavia, gli scettici sottolineano che l’Iraq, il secondo più grande produttore di petrolio tra i membri dell’OPEC, ha espresso non solo la sua opposizione a questi tagli, ma ha aumentato ulteriormente la propria produzione nel mese di ottobre.
Inoltre, la Libia ha riaperto i suoi terminali di spedizione di petrolio. In ogni caso, la produzione OPEC è vicina al suo limite, che supporta un prezzo relativamente alto del petrolio, indipendentemente da eventuali quote di produzione imposte dal cartello petrolifero.
Alla luce di questo, si potrebbe prevedere un aumento del prezzo del petrolio a 55 dollari USA in tre mesi e a 57 dollari USA in 12 mesi.
Economia globale molto meno dipendente dal petrolio
Il consumo globale di petrolio è più che triplicato dagli anni ’70. Per il quarto trimestre del 2016, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) prevede un picco storico di 97,03 milioni di barili consumati al giorno.
Allo stesso tempo, la produzione economica globale è aumentata più di cinque volte dal 1970. Ciò significa che l’intensità di consumo di greggio dell’economia globale, vale a dire il rapporto tra consumo di petrolio per il PIL reale, è effettivamente calata significativamente.
In altre parole, il petrolio non è più così importante per mantenere gli ingranaggi del commercio funzionanti come era 50 anni fa (vedi tabella 1). Questo spiega anche perché l’economia globale è riuscita a far fronte all’aumento di 13 volte del prezzo del petrolio tra il 1998 e il 2008, considerando che l’aumento di 10 volte nel periodo 1973-1978 ha dato avvio a ben due recessioni.
Riduzione dei prezzi del petrolio beneficia i consumatori…
Anche se il prezzo del petrolio è diventato meno importante per l’economia globale negli ultimi anni, è ancora un fattore rilevante per la crescita economica. Tra le altre cose, ciò si riflette nella composizione dei prezzi al consumo.
Considerando che la voce “costi del carburante per le famiglie e trasporto privato” ha contribuito per quasi il 6% negli anni 2012/13 nell’indice dei prezzi al consumo (CPI) negli Stati Uniti, tale percentuale si è praticamente dimezzata in seguito al crollo del prezzo del petrolio. Ciò a sua volta significa che il prezzo del petrolio ha un ruolo molto meno importante di quanto abbia avuto quattro anni fa per quanto riguarda l’inflazione.
Naturalmente, lo stesso effetto può essere applicato al contrario se i prezzi del petrolio cominciano a salire. Un confronto internazionale circa la percentuale di consumi energetici sul totale dei consumi rivela un dato relativamente basso di 8% negli Stati Uniti.
Gli unici paesi che mostrano una figura ancora più bassa sono il Giappone (7,4%), il Regno Unito (6,7%) e la Svizzera (5,4%). A condurre questa classifica troviamo la Polonia (poco meno del 18%) e Germania (11%).
…ma può anche danneggiare l’economia
Tuttavia, prezzi del petrolio più bassi non sono necessariamente positivi per la performance economica. All’inizio del 2015, il crollo del prezzo del petrolio sembrava essere una sorta di regalo per i paesi importatori netti di petrolio. Abbiamo anche ipotizzato che l’economia statunitense, data la minore importanza del settore energetico per l’economia complessiva, sarebbe resiliente alla fine del boom dell’energia.
Quello che in realtà è successo è che gli investimenti effettuati dall’industria petrolifera e del gas in pozzi tra il quarto trimestre del 2014 e il secondo trimestre del 2016 sono crollati del 64%. Questo fattore da solo ha causato una riduzione del “solo” 0,5 per cento del PIL in questo periodo.
Inoltre, alcune aree del settore manifatturiero hanno sofferto pure, in particolare fornitori dell’industria petrolifera e del gas. Di conseguenza, gli investimenti (esclusi edilizia e attività immateriali) si sono ridotti di quasi il 4% in termini reali tra il terzo trimestre del 2015 e il secondo trimestre del 2016.
Quali sono gli effetti di un movimento laterale del prezzo del petrolio?
Assumendo prezzi costanti del petrolio (e valute) nel corso dei prossimi 12 mesi, l’effetto positivo del prezzo del petrolio sull’inflazione complessiva andrebbe poco a poco a svanire. All’inizio di novembre 2015, il prezzo di un barile di Brent si è attestato a 48 dollari, il livello più o meno di oggi.
Un confronto simile lo scorso luglio aveva mostrato il prezzo del periodo quasi 12 dollari inferiore a quello del 2015, che ha determinato un calo dell’inflazione complessiva per quest’anno (vedi tabella 2 N.B.: manca la tabella).
L’assenza di questo effetto negativo spingerebbe quindi il complessivo tasso d’inflazione – anche in questo scenario conservativo – a oltre il 2% per la Zona Euro nella primavera 2017, e di oltre il 2,5% per gli Stati Uniti.
L’aumento del prezzo del petrolio non solo è probabile alimentare inflazione negli Stati Uniti, ma dovrebbe anche fornire una spinta per l’uscita di produzione delle compagnie petrolifere di shale oil, con corrispondenti conseguenze positive per i loro fornitori.
Come conseguenza di ciò, ci saranno bollette energetiche più elevate per i consumatori a causa del prezzo del petrolio più alto. L’aumento dell’inflazione potrebbe costringere la Fed ad alzare i tassi di riferimento nei prossimi mesi (ipoteticamente tre rialzi dei tassi di interesse entro la fine del 2017).
L’inflazione potrebbe anche salire in Europa. Ciò dovrebbe incoraggiare la Banca Centrale Europea (BCE) a pensare a un ridimensionamento dei suoi acquisti di obbligazioni.
Nonostante questo, la differenza fondamentale tra la politica monetaria adottata dalla BCE e la Fed dovrebbe persistere per molti anni a venire.
Nella zona euro, ad esempio, il tasso di disoccupazione è ancora alto e il nucleo di inflazione (al netto di energia e alimentari) è molto più basso (0,8%) che negli Stati Uniti (2,2%).
A ottobre 2014, la Fed ha concluso il suo programma di acquisti di titoli e per la prima volta alzato i tassi di interesse nel dicembre 2015 dal loro livello più basso del dicembre 2008.
Al contrario, la BCE dovrà presto decidere cosa fare con il suo programma di acquisto di bond – che si concluderà a marzo 2017. Ci si potrebbe aspettare che la BCE annunci a dicembre l’intenzione di estendere questo programma per altri sei mesi e che riduca gradualmente i suoi acquisti di obbligazioni solo da settembre 2017 in poi.
Non c’è dubbio che la BCE aumenti i tassi di interesse.
Dal momento che entrambe le banche centrali intendono assottigliare la politica monetaria, i rendimenti potrebbero salire nel corso dei prossimi 12 mesi.
Infine, un aumento del prezzo del petrolio potrebbe avere un impatto positivo sulle azioni e obbligazioni di paesi emergenti. In precedenza, quando il prezzo del petrolio è sceso sotto i 30 dollari nel mese di gennaio 2016, alcune compagnie petrolifere nei mercati emergenti, come Petrobras e Petróleos de Venezuela hanno minacciato inadempimento nei pagamenti.
Il rimbalzo del prezzo del petrolio fino ad oggi ha già significativamente ridotto questi rischi. Ulteriori aumenti dei prezzi renderebbero queste categorie di attività ancora più attraenti.
Commento a cura di Ralf Wiedenmann e Reto Cueni, Vontobel