Lo scenario tracciato nel Rapporto Ocse non è dei migliori, ma non è la fine del mondo. I mercati finanziari e le borse saranno gli osservati speciali.
L’Economic Outlook sullo stato dell’economia mondiale, recentemente pubblicato dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, traccia una situazione preoccupante. E, siccome si basa su dati precedenti alla seconda ondata della pandemia, le prospettive per l’anno 2021, purtroppo, sono peggiori di quanto analizzato. Ciò a prescindere dall’arrivo e dall’utilizzo del vaccino anti Covid.
Il Pil mondiale dovrebbe ridursi del 4,25% nel 2020 e dovrebbe ricuperare tale percentuale nel 2021. Le perdite maggiori nell’economia americana e in quella della zona euro, stimata intorno al 7,5%, sarebbero parzialmente compensate dalla crescita cinese del 3,5% di quest’anno. Mediamente, i Paesi cosiddetti avanzati e quelli emergenti alla fine del 2022 potrebbero aver perso l’equivalente di 4-5 anni di crescita attesa per il reddito procapite reale.
Secondo l’Ocse i dati sono ben più seri se si osservano i settori legati all’economia reale. La produzione industriale globale perde oltre il 10% rispetto al 2019 e in molti Paesi, anche alla fine del 2022, rimarrebbe sotto del 5% rispetto al livello pre-Covid.
Come nella Grande Crisi del 2007-8, anche il commercio mondiale ha subito una riduzione eccezionale: nei primi sei mesi del 2019 lo scambio di merci si è ridotto del 16%! Alla fine dell’anno tale perdita potrebbe ridursi grazie alla parziale ripresa economica della Cina e di altri Paesi asiatici.
Nonostante gli aiuti e il sostegno ai salari messi in atto dai vari governi per evitare licenziamenti di massa, il tasso di disoccupazione nei Paesi Ocse è salito al 7,25%. In Italia si stima che nel 2019 si siano persi 700.000 posti di lavoro!
L’Ocse teme fortemente quanto potrebbe succedere nel 2021, quando i sostegni alla cassa integrazione potrebbero diminuire nel contesto di una prevedibile ripartenza incerta dell’economia. Una cosa è certa: per parecchio tempo l’occupazione rimarrà sotto i livelli pre-Covid, contribuendo a far lievitare per diversi anni i costi della pandemia e a mettere sotto pressione i salari, i redditi e i consumi.
Inevitabilmente gli investimenti si sono fermati. Nella prima metà dell’anno, nonostante gli effetti negativi sui redditi delle famiglie, i loro risparmi sono addirittura aumentati tra il 10 e il 20%. Probabilmente impaurite dalle oscure prospettive future. Insieme ai vari lockdown, ciò ha provocato un effetto valanga nei settori del turismo, del retail, della ristorazione e di altri servizi. Anche per il 2021 ci si aspetta una crescita del risparmio di circa il 2%. Ovviamente non è un bene.
Realisticamente, uno scenario dell’Ocse per il 2021, rispetto al periodo pre pandemia, prevede una diminuzione del 7% del commercio mondiale, una diminuzione del 12% degli investimenti, un aumento della disoccupazione di 1,7% e una forte deflazione con un’inflazione negativa di almeno 1,25% sui prezzi al consumo. Mediamente, nei paesi avanzati il rapporto debito pubblico/pil dovrebbe crescere del 7,5% entro il 2022.
I mercati finanziari e le borse dovranno, di conseguenza, essere gli osservati speciali. Il citato rapporto prevede che gli choc della pandemia possano determinare una riduzione dell’1% del capitale investito nel business entro la metà del 2021. L’aumento del debito, in particolare quello corporate, potrebbe far salire di almeno 50 punti base, lo 0,5%, il costo del premio al rischio. Globalmente, nel 2021 si stima anche una diminuzione del 10% del prezzo delle azioni e del 15% di quello delle commodity non alimentari. Tendenze negative che, ci si augura, potrebbero essere superate durante il 2022.
Anche i sistemi bancari dovranno affrontare una serie di problematiche, a partire ovviamente dalla crescita dei cosiddetti non performing loans, dei crediti inesigibili. E’ ovvio che le perdite di reddito, di produzioni e di entrate che tutti i settori produttivi stanno subendo, creeranno enormi difficoltà alle famiglie e alle imprese per far fronte ai vecchi e agli eventuali nuovi debiti con le banche.
La situazione tracciata è molto difficile. Ma non è la fine del mondo. Nella storia umana, anche nel secolo da poco terminato, si è stati in grado di rispondere in modo efficace e virtuoso alle catastrofi delle guerre, dei terremoti e di altre pandemie.
Perciò è fondamentale non perdere l’occasione per realizzare le riforme globali necessarie e giuste. Cosa che, invece, i governi non hanno fatto dopo la Grande Crisi del 2008.
Guardando al mondo di oggi e alla necessità di renderlo più equilibrato e integrato, nello spirito della lontana Bretton Woods è opportuno e inderogabile affrontare le sfide del futuro all’interno di una nuova architettura globale da definire insieme, e non solo per tutti i settori dell’economia. In particolare, nel mondo della finanza si dovrà realizzare un moderno sistema del credito produttivo, contrapposto alla devastante deregulation finanziaria e bancaria, che ha creato le ben note bolle speculative di ogni tipo.
Nuovi accordi, secondo noi, sono inevitabili nel commercio mondiale, nel sistema monetario internazionale, nella politica degli investimenti e delle produzioni, definendo le effettive priorità nel campo della ricerca, della sanità, della cultura, dell’ambiente e dell’educazione.
Il Covid, nella sua brutalità, ha dimostrato come la globalizzazione sia una realtà oggettiva e non un progetto geopolitico di qualcuno. Ha costretto i governi e i popoli a cercare forme di collaborazione. Ha provato, in modo drammatico, che siamo effettivamente tutti sulla stessa barca, in un villaggio comune, dove povertà e sottosviluppo non dovrebbero più avere posto.
Commento a cura di Mario Lettieri e Paolo Raimondi