Nonostante il programma di acquisto di asset obbligazionari della BCE, notiamo un chiaro aumento dell’avversione al rischio nei mercati dei capitali dell’Eurozona.
La crisi dell’euro è come una macchia umida su una parete: finché non si interviene sulla causa, una perdita nella grondaia o una crepa nell’intonaco, la macchia riapparirà di continuo. Negli ultimi anni, Mario Draghi ha passato una spessa mano di vernice sulla crisi, ma il problema strutturale alla base non è mai stato risolto. La vernice si sta fessurando e quella brutta macchia sta ricomparendo.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito al graduale riapparire di crepe nell’Eurozona. Gli spread tra i tassi di interesse dei Titoli di Stato dei vari paesi dell’euro hanno ripreso a salire. I motivi possono essere molteplici, ma rimane il fatto che il fenomeno interessa tutta l’Eurozona. Nonostante il programma di acquisto di asset obbligazionari della BCE, notiamo un chiaro aumento dell’avversione al rischio nei mercati dei capitali dell’Eurozona. Sembra che la politica monetaria abbia raggiunto il limite e la BCE non è probabilmente in grado di contenere questi sviluppi nel breve termine.
Ovviamente la BCE può decidere di potenziare il programma di acquisto di obbligazioni, ma questi strumenti di politica monetaria stanno diventando sempre meno efficaci. Gli analisti sono sempre più convinti che la politica dei tassi di interesse negativi sui conti deposito sia stata controproducente per lo sviluppo dell’attività creditizia in Europa. Ma ha un effetto immediato e paralizzante sulla redditività delle banche.
La success story della politica della BCE a guida Mario Draghi sembra essere giunta al termine. L’Eurozona è stata sostenuta principalmente da una crescita economica trainata dalle esportazioni, conseguenza dell’indebolimento dell’euro. In tale contesto, il Presidente della DNB (la Banca centrale olandese) Klaas Knot si è riferito all’euro come all’‘obiettivo derivato’ della politica monetaria. Da questo punto di vista, l’attuale politica della BCE sta fallendo. Da inizio dicembre, l’euro ha guadagnato più del 5% sul dollaro USA e sul dollaro australiano e circa il 10% sulla sterlina inglese, il real brasiliano e il won sudcoreano. Solo lo yen giapponese si è rafforzato sull’euro negli ultimi mesi. Sì, lo yen si è sensibilmente apprezzato da quando la Banca centrale giapponese, con una mossa a sorpresa, ha deciso di introdurre i tassi negativi sui depositi nel quadro della sua politica monetaria. Anche in questo caso sembra che l’obiettivo di politica non sarà raggiunto.
La BCE cerca da tempo di risolvere i problemi strutturali dell’Eurozona. Inutilmente. L’Eurozona e il Giappone sembrano uscirne perdenti. Il problema dovrebbe essere affrontato con un approccio strutturale per eliminare crepe e macchie una volta per tutte. Apparentemente, il problema non è ancora abbastanza serio per l’Eurozona. Dopotutto, la storia dimostra che l’Europa non cambierà le sue politiche finché le cose non andranno drammaticamente male: ‘le cose devono andare peggio prima che comincino ad andare meglio’. Iniziano a profilarsi i segnali di una nuova e imminente crisi dell’euro.
Commento a cura di William de Vries, Kempen Capital Management