Repressione finanziaria. E’ un concetto spesso presente in Germania sulla stampa e nel dibattito economico, in Italia invece praticamente sconosciuto.
A cura di Beppe Scienza. Sarà la barriera linguistica, sarà la superficialità degli italiani. Fatto sta che in Germania il concetto di repressione finanziaria è costantemente presente sugli organi d’informazione. A sud delle Alpi è invece praticamente sconosciuto, benché la situazione sia analoga.
L’espressione fu introdotta a Stanford nel 1973 dagli economisti Ronald McKinnon ed Edward Shaw, finendo nel dimenticatoio dopo gli choc petroliferi. Essa designa leggi, provvedimenti monetari, blocchi al movimento dei capitali ecc. finalizzati a comprimere i tassi di interesse. Allora l’obiettivo era tenerli sotto all’inflazione. Per l’Italia si veda per esempio il 1976 coi Bot al 9%, il costo della vita salito del 21,8% e una conseguente perdita di potere d’acquisto del 10,5%. Insomma, allora eravamo più repressi di adesso.
Oggigiorno la situazione è meno grave, perché i rendimenti del reddito fisso sono spesso irrisori, ma almeno per ora l’inflazione non morde. È vero che alcuni studiosi dissentono, ma come non considerare repressione finanziaria la politica di varie banche centrali e in particolare di quella europea (Bce)? Tengono bassissimo il costo del denaro, arrivando addirittura a tassi negativi sui depositi.
A parte l’anticipazione del Giappone da fine anni ’90, ci troviamo di fronte a una novità assoluta nella storia. A Babilonia si prestava il frumento al 20% annuo. I tassi erano alti in Grecia e Roma antiche o nei liberi comuni. Neppure nei periodi di deflazione dell’Ottocento e Novecento, i tassi nominali erano bassi come ora (vedi “Storia dei tassi d’interesse” di S. Homer e R. Sylla). Comprensibile quindi che molti si lamentino che i risparmi non rendono quasi più nulla.
Come accennato, in Germania l’argomento è caldo, complici anche i rendimenti ancora più bassi sui titoli pubblici. Ma soprattutto la stampa tedesca denuncia che uno scenario di rendimenti vicini allo zero è la pietra tombale per la previdenza integrativa. Anche di ciò nessuna eco in Italia, dove economisti, sedicenti consulenti finanziari e associazioni di consumatori continuano imperterriti a promuovere fondi pensione, polizze e simili.
Beppe Scienza