Il gigante cinese avanza a rilento

L’ascesa della Cina a “peso massimo” internazionale ha caratterizzato l’evoluzione dell’economia mondiale.

mercati finanziariFino a poco tempo fa, gli investitori erano abituati a sbalorditivi tassi di crescita del PIL, che sembravano sfidare le leggi di gravità. A nostro parere, il mercato azionario cinese ha ancora un potenziale nonostante le grandi sfide che la seconda economia mondiale deve affrontare.

Per la prima volta dalla fine degli anni settanta, quando ex leader Deng Xiaoping introdusse le riforme di mercato, la crescita economica cinese sta notevolmente rallentando, con tassi annui scesi dal 10 o più percento al 7 percento. Nel novembre del 2013, in una seduta cruciale, la terza sessione plenaria del Comitato Centrale del Partito Comunista ha riconosciuto l’entità degli squilibri dell’economia cinese e la mancanza di sostenibilità di una crescita economica guidata dalle esportazioni e fortemente dipendente dagli investimenti. Questi squilibri economici sono riconducibili alla massiccia espansione alimentata dall’attività creditizia, che ha avuto luogo tra il 2009 e il 2011 in risposta alla “grande crisi finanziaria” e che ha provocato una grande bolla immobiliare e una sovraccapacità in molti rami industriali. La nuova leadership giunta al potere nel 2013 ha tracciato un piano di riforma a lungo termine volto a favorire un meccanismo di fissazione dei prezzi più orientato al mercato, uno spostamento verso una crescita trainata dai consumi e una graduale liberalizzazione del settore finanziario. Un esempio emblematico di questa transizione verso i servizi e i consumi interni è l’offerta pubblica iniziale del colosso cinese dell’e-commerce Alibaba Group al New York Stock Exchange nel settembre 2014.

Grafico 1: netto trend rialzista della valuta cinese dalla metà del 2005
MSCI China

Fonte: Thomson Reuters Datastream, Vontobel Asset Management

Nel marzo 2015, i vertici del Partito Comunista hanno reiterato la loro volontà di riformare l’economia, pur ammettendo che non sarà facile raggiungere l’obiettivo di una crescita del PIL cinese del 7 percento nel 2015. In realtà si tratta di una sfida notevole, perché i provvedimenti destinati a eliminare tali squilibri economici provocano di solito lo scoppio di bolle immobiliari, recessione, un grave deterioramento dei prestiti bancari e una netta contrazione degli utili del settore industriale. In un’economia aperta – che la Cina non è – questi sviluppi sarebbero solitamente accompagnati da un sostanziale deprezzamento della valuta.

Azioni locali favorite dagli afflussi di liquidità
Tutti gli sviluppi summenzionati non sono accettabili per l’élite politica cinese perché potrebbero infrangere il patto sociale e potenzialmente minare il potere del partito. Grazie alle enormi riserve di capitale della Cina e un governo centrale relativamente poco indebitato, la leadership cinese è in grado di influenzare gli investimenti infrastrutturali nella misura che ritiene opportuna, senza pregiudicare il bilancio dello Stato. La forza dello yuan cinese (detto anche renminbi) (vedi grafico 1) e il crollo dei prezzi delle materie prime spingono al ribasso l’inflazione. Ciò potrebbe condurre a un ulteriore allentamento della politica monetaria, che è già accomodante e sostiene il mercato azionario locale in un periodo in cui le famiglie trasferiscono i loro risparmi dalla liquidità e dall’immobiliare verso le azioni. Di conseguenza, le azioni locali (le cosiddette azioni A quotate alla borsa di Shanghai) hanno messo a segno enormi rialzi dall’estate scorsa, mentre le azioni H (azioni cinesi quotate a Hong Kong, MSCI China) sono ora quotate a notevoli sconti (vedi grafico 2). Noi manteniamo il nostro sovrappeso nelle azioni cinesi perché hanno una valutazione allettante e continuano a beneficiare dell’abbondante liquidità.

Grafico 2: le azioni locali quotate a Shanghai battono il mercato cinese generale
Shanghai index

Source: Thomson Reuters Datastream, Vontobel Asset Management

Il crescente problema dell’invecchiamento della popolazione
Ciò nonostante, ci rendiamo conto che la transizione verso un’economia di mercato comporta enormi rischi. Un vento avverso soffia dal versante demografico: il cosiddetto indice di dipendenza, che denota la percentuale della popolazione non attiva rispetto a quella attiva, è in aumento e mette così in risalto i problemi legati all’invecchiamento della società. Allo stesso tempo diminuiscono i vantaggi economici della rapida urbanizzazione. Nel complesso, gli obiettivi ufficiali di crescita a medio termine sono irrealistici.

Tutti gli occhi puntati sulla Federal Reserve
A differenza della Cina, gli altri mercati finanziari locali sottostanno appieno alle leggi della fisica: il fatto che la Banca centrale europea (BCE) inghiotta ogni mese 60 miliardi di euro di titoli di Stato dell’eurozona – il che significa i che titoli governativi di alta qualità dell’eurozona scompaiono de facto dal mercato – ha condotto a rendimenti nominali negativi sui titoli di Stato di molti paesi, segnatamente della Germania. Di conseguenza, la curva dei rendimenti USA non può sganciarsi da quella dei Bund tedeschi nonostante i migliori fondamentali economici degli Stati Uniti: c’è infatti un limite fisico allo spread tra gli US-Treasury decennali e i Bund tedeschi. Il necessario aggiustamento avviene tramite il dollaro USA, che sta subendo forti pressioni al rialzo. Ne consegue un indebolimento delle esportazioni americane, che frena la crescita economica americana, mentre l’inflazione rimane modesta. Nel frattempo la Federal Reserve ha rimosso la spada di Damocle che incombeva sui mercati finanziari, mitigando le attese di un imminente restringimento della sua politica monetaria. Sebbene la Fed abbia eliminato il termine “pazienza” da una recente dichiarazione sulla possibilità di un aumento dei tassi di interesse, la presidente della Fed ha subito precisato che la Fed non sarà “impaziente” quando si tratterà di futuri rialzi. Inoltre la Fed ha corretto nettamente al ribasso le sue attese di inflazione e crescita a breve termine. La Fed ha pubblicato anche nuovi “dots” – un parametro delle previsioni dei suoi membri sui tassi di interesse – che indicano un ritmo modesto nelle future manovre monetarie restrittive.

Nel complesso, restiamo generalmente positivi nei confronti dei titoli rischiosi perché le politiche monetarie rimangono espansive e la crescita mondiale si sta stabilizzando grazie alle migliori prospettive economiche dell’eurozona. Abbiamo ridotto la nostra esposizione nel dollaro USA nella convinzione che, dopo il notevole apprezzamento, il rapporto rischio-rendimento sia diventato leggermente meno interessante, ma manteniamo comunque un sovrappeso. Ci rendiamo ben conto che le iniezioni di liquidità delle banche centrali stanno spingendo le valutazioni di mercato su livelli elevati in tutte le asset class. Ciò significa che dobbiamo scegliere attentamente i mercati e i titoli in cui investiamo e restare vigili per individuare per tempo eventuali punti di inflessione.

Commento a cura di Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel

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