Pur rimanendo la moneta principale negli affari economici mondiali, il dollaro sta da tempo perdendo il suo ruolo e la sua credibilità di fiducia, di garanzia e di certezza.
La guerra in Ucraina, con le sue drammaticità, la disinformazione e i preponderanti elementi di psywar, tende a coprire il vero scontro, profondo, geopolitico e geoeconomico globale che si sta combattendo da anni. Ben prima dell’attuale conflitto, l’utilizzo del dollaro per i pagamenti delle esportazioni russe verso gli altri Paesi Brics era crollato dal 95% del 2013 a meno del 10% nel 2020.
Chi avrà il ruolo egemone sull’economia, sulla moneta, sulla finanza, e non solo sulla sicurezza, a livello mondiale? La pretesa Usa di essere l’unica potenza capace, da sola, di determinare i processi economici e strategici e di gestire le relazioni internazionali viene oggettivamente meno di fronte alle nuove realtà emergenti.
La domanda più inquietante è: la nuova egemonia sarà stabilita dal vincitore di una guerra globale, come in passato, oppure ci sarà un razionale e costruttivo confronto tra tutti gli attori che abitano il nostro pianeta?
Al riguardo è importante notare che da qualche tempo anche negli Usa si sta riflettendo sull’opportunità di organizzare una nuova Bretton Woods. Nel 1944 in questa cittadina venne realizzato un accordo per un nuovo sistema monetario internazionale, centrato sul dollaro, per dare stabilità ai rapporti economici internazionali e per aiutare lo sviluppo e la ricostruzione del dopo guerra.
L’accordo di Bretton Woods, però, fu fatto dai vincitori della guerra, senza l’Unione Sovietica, lasciando fuori anche tutti i grandi Paesi del cosiddetto terzo mondo, in particolare l’India e la Cina.
Recentemente ne ha parlato anche Janet Yellen, segretario al Tesoro americano ed ex presidente della Fed, che in un discorso all’Atlantic Council ha delineato un nuovo ordine commerciale, ma sempre a guida americana, in cui agli altri Paesi “non sarà permesso di usare il proprio vantaggio sul mercato delle materie prime, delle tecnologie e dei prodotti chiave per disgregare la nostra economia o esercitare una leva geopolitica indesiderata”.
Evidentemente la preoccupazione è nei confronti della Cina, oltre che verso la Russia. Il nuovo ordine metterà al centro la sicurezza di accesso alle commodities strategiche come il petrolio, il gas, i metalli, le materie rare, i beni alimentari.
La garanzia di approvvigionamenti sicuri sarà più importante del loro prezzo di acquisto. Per assicurarsi riserve di commodities i Paesi industrializzati, tra cui l’Italia e l’Ue, avranno, di conseguenza, problemi di scarsità di capitali, e quindi di maggiori debiti. Si tratta di uno scenario più geopolitico che economico.
Pur rimanendo la moneta principale negli affari economici mondiali, il dollaro sta da tempo perdendo il suo ruolo e la sua credibilità di fiducia, di garanzia e di certezza.
Secondo la Fed il dollaro è ancora usato in vari settori per circa il 70%, l’euro per il 30% e lo yuan cinese soltanto per il 3%. Questo indice, però, non tiene conto del crescente utilizzo del baratto e delle monete nazionali nelle operazioni commerciali e finanziarie dei Paesi del Brics e di altre economie emergenti. Per esempio, ben prima dell’attuale conflitto, l’utilizzo del dollaro per i pagamenti delle esportazioni russe verso gli altri Paesi Brics era crollato dal 95% del 2013 a meno del 10% nel 2020.
Il ridimensionamento internazionale del dollaro è molto evidente nella composizione delle riserve monetarie mondiali, tanto che negli ultimi vent’anni è passato dal 71% al 59%. Nelle riserve monetarie di parecchie banche centrali il valore dell’oro supera quello dei dollari. Non stupisce, quindi, che questo ribaltamento fosse già avvenuto nel 2020 in Russia.
Si tenga presente che le grandi sanzioni economiche contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina, tra cui il congelamento delle sue riserve valutarie e la sospensione del sistema SWIFT nei pagamenti internazionali, ha di fatto reso il dollaro un’”arma militare” le cui conseguenze globali diventeranno sempre più visibili nel tempo.
Perciò, una nuova Bretton Woods non può essere la replica di quella passata, un accordo soltanto tra gli “amici” dell’America, dovrà coinvolgere la Cina, l’India, i Paesi emergenti del Sud del mondo e anche la Russia. In un tale accordo l’Unione europea dovrebbe avere un ruolo centrale di mediazione e di proposizione, che avrebbe già dovuto svolgere naturalmente in questa delicata fase della guerra in Ucraina, se fosse un soggetto politico, autonomo e davvero indipendente.
Senza iattanza, ricordiamo che già nel 2004 con una specifica mozione alla Camera dei Deputati, votata alla quasi’unanimità, chiedevamo al governo di attivarsi nelle competenti sedi internazionali per intraprendere “le iniziative necessarie per convocare una conferenza a livello di capi di stato e di governo, simile a quella di Bretton Woods, per definire globalmente un nuovo e più giusto sistema monetario e finanziario”.
Oggi, in verità, dovrebbe trattarsi di un nuovo ordine mondiale, che parta dal sistema monetario e finanziario e si estenda alla riduzione controllata delle armi nucleari, al commercio da rendere più equo, alla lotta alle grandi pandemie, alla tutela del lavoro, del clima e dell’ambiente. Quindi non solo moneta, né solo armi, considerato che “tutto si tiene” per assicurare pace e vivibilità nelle varie parti del pianeta.
Commento a cura di Mario Lettieri e Paolo Raimondi