Nonostante l’inasprimento delle tensioni politiche, i mercati finanziari hanno già ripreso il rally e la corsa verso gli asset rifugio sembra di breve durata.
Dopo avere fatto timidamente capolino a inizio estate, la volatilità è ricomparsa sui mercati finanziari. Le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Corea del Nord hanno scatenato una corsa, seppur di breve durata, verso i titoli di qualità.
Inasprimento delle tensioni politiche
La recrudescenza delle tensioni politiche tra Stati Uniti e Corea del Nord ha innescato la vendita di un numero elevato di azioni. Anche gli spread si sono allargati e le valute “sicure”, come lo yen giapponese e il dollaro USA, si sono rafforzate. Riteniamo che la corsa verso gli asset rifugio sia di breve durata. A nostro parere la situazione non andrà oltre le intimidazioni verbali: tenuto conto degli enormi interessi in gioco per entrambi le parti, un conflitto militare non sembra probabile.
Da una parte, gli Stati Uniti temono l’impatto negativo che potrebbe avere sulla Corea del Sud e Guam un intervento militare in Corea del Nord.
Dall’altra, la Corea del Nord teme che, se lancia un attacco nucleare, il suo regime possa essere scardinato.
Peraltro, una simile azione non sarebbe tollerata dal resto del mondo. L’esperienza insegna che le tensioni geopolitiche hanno effetti duraturi sulle asset class rischiose solo se alterano in maniera fondamentale la situazione economica.
Il che non corrisponde alla situazione attuale. I mercati finanziari hanno già ripreso il rally. Le oscillazioni, dettate unicamente dal sentiment, sono state di breve durata.
Utili aziendali in forte crescita
I dati sugli utili aziendali per il secondo trimestre 2017 e le previsioni di utili pubblicati nelle diverse aree geografiche sono positivi. Gli utili e il reddito per azione sono in aumento in tutte le regioni. L’incremento maggiore riguarda il Giappone, che registra un +20% grazie in particolare a uno yen più debole che ha avvantaggiato le aziende. Anche l’outlook del paese rimane positivo. Non soltanto la Banca centrale giapponese prosegue la sua politica espansionistica, contrariamente alla maggior parte delle altre Banche centrali, ma anche il ritmo di crescita dell’economia dovrebbe essere superiore ai trend più recenti. In Europa gli utili sono aumentati del 12% rispetto a un anno fa.
Nonostante la crescita robusta, gli investitori hanno reagito in maniera più tiepida. Il deciso apprezzamento dell’euro nell’ultimo trimestre spiega probabilmente questo atteggiamento e potrebbe rappresentare un ostacolo alla crescita degli utili.
Di conseguenza, le stime di utili futuri sono state riviste leggermente al ribasso. Il rafforzamento dell’euro spiega anche perché gli investitori europei hanno notato solo marginalmente i nuovi livelli record messi a segno dai mercati azionari statunitensi.
Mentre lo S&P500 è già cresciuto di oltre il 10% in dollari USA quest’anno, il rendimento convertito in euro è solo leggermente positivo.
L’espansione degli utili statunitensi, arrestatasi al 10% nel secondo trimestre, è stata di poco inferiore a quella europea. Le previsioni di utili sono stabili.
Anche i dati sugli utili dei mercati emergenti sono stati ancora una volta positivi. L’outlook ciclico è quindi favorevole.
Tutto considerato, continuiamo ad esprimere una view positiva sulle azioni, soprattutto per quanto riguarda l’Asia, Giappone escluso, e i mercati emergenti.
Probabile aumento dell’inflazione
Nonostante il clima economico favorevole e la riduzione dell’eccesso di capacità produttiva, l’inflazione rimane contenuta.
L’output gap (lo scostamento tra PIL effettivo e PIL potenziale) è quasi ai minimi termini negli Stati Uniti. Il livello di disoccupazione è prossimo al tasso di disoccupazione in equilibrio, il cosiddetto NAIRU.
Una situazione che normalmente determinerebbe pressioni salariali. Tuttavia gli aumenti medi di salario rimangono bassi, perlomeno a prima vista.
Secondo il sistema statunitense di banche centrali (la Fed), l’analisi degli aumenti medi di salario non prende sufficientemente in considerazione come varia la composizione della popolazione attiva nei posti di lavoro.
Innanzitutto, la pressione salariale media si è ridotta a causa del numero elevato di lavoratori poco qualificati che hanno integrato il mercato del lavoro statunitense negli ultimi anni.
In secondo luogo, l’inflazione salariale è in calo a causa dell’invecchiamento demografico. I lavoratori più anziani sono sostituiti da persone più giovani, tendenzialmente pagate meno.
Questo ha un effetto al ribasso sulla massa salariale complessiva, che determina a sua volta un tasso di crescita inferiore a quello effettivo.
Riteniamo che l’inflazione (salariale) possa crescere nei prossimi trimestri e che la Fed proseguirà la normalizzazione della sua politica monetaria.
Normalizzazione monetaria
Prevediamo un ulteriore rialzo dei tassi di interesse da parte della Fed quest’anno. Nel 2018 ci aspettiamo due o tre aumenti dei tassi di interesse, di più rispetto a quanto i mercati stanno già scontando.
Quando i banchieri centrali si riuniranno per il loro consueto incontro annuale a Jackson Hole a fine mese, potremo saperne di più sui loro piani di inasprimento monetario.
Tenuto conto della forza dell’euro, riteniamo che il Presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, farà di tutto per non spingere troppo sul pedale della normalizzazione monetaria.
Tuttavia, riteniamo che i rendimenti dei Titoli di Stato aumenteranno a causa del passaggio graduale a una politica monetaria meno espansionistica.
Commento a cura di Ruth van de Belt, Investment Strategist, Kempen Capital Management