Gli obiettivi del QE e l’incalzante deflazione

Ad oggi il QE targato Bce non appare in grado di conseguire l’obiettivo prefissato da Francoforte e non riesce ad invertire la rotta disegnata dall’incalzante deflazione.

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Non vi è dubbio che l’articolo 47 della nostra Costituzione – che tratta della difesa e della promozione del risparmio – negli ultimi tempi appare alquanto bistrattato e bisognoso di sostegno e, in caso estremo, di sostanziale modifica.

Molti economisti sono concordi sulla opportunità ed utilità di incrementare i consumi per il bene dell’economia nazionale.

D’altro canto l’allentamento quantitativo (quantitative easing o QE) della BCE in ultima analisi mira proprio alla messa in circolo di nuova liquidità per invogliare le aziende ad investire ed a distribuire redditi aggiuntivi ai lavoratori impegnati nel processo produttivo.

Non è certo il caso di far arrivare banconote ai cittadini lanciandole da un elicottero in volo (helicopter money), come ipotizzato in maniera suggestiva da un eclettico banchiere americano.

Va sottolineato che il “QE” targato BCE si serve del tramite bancario per stimolare aziende e consumatori.

Ad oggi detto strumento finanziario non appare in grado di conseguire l’obiettivo prefissato da Francoforte (BCE) e non riesce ad invertire la rotta disegnata dall’incalzante deflazione, allo stesso tempo causa e conseguenza del calo prolungato degli acquisti.

In questa situazione di stallo dei consumi, quale pilastro determinante dell’economia, si potrebbe far leva in particolar modo su predisposizione psicologica ed attivismo dei cittadini contribuenti.

A questi, in maniera automatica e senza pesantezze burocratiche, si potrebbe attribuire un’apertura di credito in conto corrente di entità pari o proporzionata all’ammontare di imposte personali versate nell’anno precedente, regolata al tasso d’interesse previsto dalla BCE.

Magari tenendo conto del livello di inflazione programmato da Francoforte, attualmente pari al 2%.

Questo sarebbe anche un modo per dare importanza e visibilità ai cittadini che contribuiscono in maniera fattiva e concreta alla “costruzione” e “sostenibilità” del bilancio dello Stato.

Servirebbe ad evidenziarne e promuoverne il ruolo essenziale nella dinamica della vita nazionale.

Il congegno finanziario innanzi ipotizzato servirebbe anche a compensare, seppure parzialmente, l’attuale, deciso declassamento del fattore risparmio e dei risparmiatori medesimi, dal momento che la BCE si è sostituita ad essi nella fornitura, artificiosa ed inflazionistica, della materia prima per il sostegno all’economia.

I cittadini contribuenti infatti, per logica ed ovvietà, sono anche i detentori della gran parte del risparmio accantonato nel tempo e nella disponibilità del Paese (e, perché no, dell’Unione europea).

Non vi è dubbio che l’articolo 47 della nostra Costituzione – che tratta per l’appunto della difesa e della promozione del risparmio – negli ultimi tempi appare alquanto bistrattato e bisognoso di sostegno e, in caso estremo, di sostanziale modifica.

Nel contempo richiamo qui altro mio convincimento secondo cui occorre battersi in Europa per neutralizzare ed accollare alla BCE la parte di debito pubblico eccedente il 60% rispetto al PIL.

E’ una delle strade da seguire per poter progettare una crescita possibile.

Questa misura eccezionale in favore dei Paesi dell’Unione con rapporto debito/pil superiore al 60%, a partire dai 18 a moneta euro, andrebbe coniugata con la nomina del Ministro del Tesoro e delle Finanze europeo, dotato di visione complessiva e poteri di intervento su politiche fiscali e di spesa comunitarie.

Al Ministro del Tesoro UE, in sintonia decisionale con il Parlamento europeo, sarebbe parimenti attribuita la facoltà di emettere Eurobond per finanziare investimenti nelle zone con alta disoccupazione e carenti di strutture produttive.

Da qui si capirebbe se c’è effettiva volontà di fare il salto di qualità e di sostanza e di pervenire, tutti assieme, agli “Stati Uniti d’Europa”.

Gli Stati direttamente interessati (Italia in testa in uno a Grecia e Portogallo) non riusciranno a perseguire l’allettante obiettivo del rapporto tra debito pubblico e Pil pari al 60%, di cui al trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, nonostante i tentativi posti in essere.

Il nostro Paese registra un rapporto tra debito pubblico (2.190 miliardi di euro) e PIL nazionale pari al 132,5 per cento.

Per ridurre detto rapporto del 132,5 per cento a quello immaginato e programmato del 60 per cento, il Governo italiano dovrebbe “liberare”, meglio “rimborsare circa mille miliardi di euro di buoni del tesoro emessi a più riprese per rifinanziarsi.

All’operazione straordinaria sopra ipotizzata provvederebbe la BCE, assumendo su di se i mille miliardi in questione, e riportando la situazione finanziaria italiana ad un punto di partenza tale da renderla competitiva rispetto agli altri 17 partecipanti al “gioco” della moneta unica e condivisa.

Ovviamente il parametro del 60 per cento tra debito e Pil potrebbe essere rimodulato ad un livello più o meno elevato secondo le convenienze e le intuizioni della politica europea, per il bene di tutta la Comunità.

Commento a cura di Sàntolo Cannavale – www.santolocannavale.it

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