Lunedì nero: esiste il rischio di uno nuovo?

Il lunedì nero fu il 19 ottobre 1987. Wall Street registrò il maggior ribasso della storia in una sola seduta. Quel crollo rappresentò tuttavia anche un’opportunità di investimento.

lunedì nero

Il lunedì nero mi colse completamente di sorpresa. Pur lavorando nel settore già dal 1982, pensavo che i mercati non potessero registrare un calo di tale entità, ma mi sbagliavo.

Spesso, quando si pensa alle cause del lunedì nero, si parla del ruolo fondamentale giocato dal trading programmatico, una specie di copertura mediante la quale, al raggiungimento di un determinato livello in caso di crollo del mercato si attivavano le vendite.

E così andò: le vendite attivate innescarono a loro volta un numero crescente di altre vendite, con un effetto valanga che il mercato non riuscì a fermare.

Il trading programmatico, quindi, ebbe effettivamente un ruolo importante, che ricorda gli attuali ETF. Ciò che accadde non poteva essere previsto, ma questo episodio dovrebbe servire da monito per farci capire cosa potrebbe succedere oggi, dal momento che l’intera gestione passiva si articola attraverso gli ETF.

La mia impressione è che molta gente non sia realmente a conoscenza degli asset che possiede detenendo un ETF, ma sappia soltanto che il mercato è in rialzo e voglia approfittare di questo andamento, senza sapere nulla di valutazioni. Non mi sorprenderebbe se, al prossimo ribasso del mercato, dovesse prodursi con gli ETF un effetto simile a quello osservato con il trading programmatico.

Il lunedì nero, (19 ottobre 1987) rappresentò tuttavia anche un’opportunità di investimento. Era convinzione comune che il crollo avrebbe determinato una recessione, ma non fu così. Tutte le attività che avevano una componente ciclica, dai titoli retail alle banche, si erano invece rivelate un’ottima opportunità di acquisto. Il crash, quindi, fu solo finanziario e non economico.

Di fatto, gli effetti sull’economia sono stati molto limitati. Perché? Semplice: quasi nessuno deteneva azioni in portafoglio. Per molto tempo, la scelta obbligata era stata il mercato immobiliare. In quel periodo non si investiva in azioni come lo si fa oggi.

Per questo motivo, gli unici a risentire del crollo del mercato furono alcune istituzioni e i grandi patrimoni. La crisi si rivelò pertanto una grande opportunità di acquisto, dal momento che il lunedì nero non ebbe un impatto economico reale.

C​iononostante, questo episodio non ha modificato particolarmente il modo in cui prendiamo le decisioni di investimento. Il nostro stile segue in buona misura la strategia bottom-up di Warren Buffett, che privilegia l’acquisto di azioni di qualità in grado di superare qualsiasi turbolenza.

L’approccio consiste nel ricercare azioni da detenere a lungo termine, perché tutti i fattori esogeni, come l’andamento dei tassi di interesse o dei tassi di cambio, si sviluppano sul breve periodo e influenzano i mercati ma non possono essere previsti con un anticipo tale da costituire un’opportunità.

Forse possono essere previsti da George Soros o da alcuni gestori di hedge fund, ma non dalla maggior parte degli investitori. Cerchiamo pertanto di limitarci espressamente a ciò che possiamo fare, ovvero evitare di concentrarci su questioni macro-economiche, trading programmatico, ETF o tassi di cambio internazionali e puntare invece su buone società in grado di resistere a diversi tipi di crisi.

Tanto per fare un esempio, la questione oggi più in voga è cercare di prevedere l’impatto della normalizzazione dei tassi di interesse negli Stati Uniti sul mercato azionario.

Di recente Buffett è apparso in televisione, affermando quanto aveva già detto due anni fa sulle valutazioni del mercato in occasione della riunione annuale: “Quanto ai tassi di interesse correnti, il mercato sembra ragionevole, ma in caso di variazioni significative dei tassi, il mercato azionario potrebbe diventare caro”.

Specificando poi: “Agli investitori a lungo termine consiglierei di acquistare azioni, perché il rendimento dei titoli di Stato a 10 anni è del 2,3%. Se avessi un orizzonte di investimento di trent’anni, dove preferirei investire: in titoli di Stato con un rendimento del 2,3% oppure nel reddito variabile?”.

Buffet ha poi concluso: “Di fronte a questa scelta, io preferirei le azioni”. Ciò significa che attualmente gli investitori acquistano azioni perché i fondi del mercato monetario non sono redditizi.

Mi sembra, tuttavia, che il livello di soddisfazione che si registra nei mercati sia elevato, in particolare tra i detentori di titoli a reddito variabile che non conoscono la composizione degli ETF.

Pertanto, come ho detto in precedenza, non mi sorprenderebbe se il mercato accusasse il colpo dopo l’aumento dei tassi di interesse o l’uscita di scena del quantitative easing.

Non possiamo prevederlo. I mercati hanno segnato un rialzo all’inizio dell’allentamento quantitativo ed è logico aspettarsi qualche contraccolpo quando la situazione sarà tornata alla normalità.

​Commento a cura di ​Edwin Walczak, gestore US Equities​ di Vontobel Asset Management​

Torna in alto