Al ridursi della distanza di policy tra la Fed e le altre principali banche centrali, il trend rialzista del dollaro USA dovrebbe esaurirsi nel corso del 2022.
L’accelerazione del processo di normalizzazione della Fed dovrebbe favorire il dollaro USA a livello generalizzato nel breve, ma il trend rialzista dovrebbe andare esaurendosi nel prosieguo del 2022, al ridursi della distanza di policy tra la Fed e le altre principali banche centrali.
Euro e sterlina dovrebbero infatti invertire rotta al rialzo, grazie alla graduale riduzione del QE BCE e ai rialzi dei tassi BoE. Fa eccezione lo yen, atteso in calo al protrarsi della divergenza tra BoJ e Fed.
Il dollaro si appresta a chiudere il 2021 in ampio apprezzamento, favorito a inizio anno da aspettative di una ripresa economica dalla crisi pandemica più rapida e robusta che altrove e negli ultimi mesi da aspettative di un sentiero di normalizzazione della politica monetaria più rapido di quanto atteso in precedenza, non solo in termini di (accelerazione del) tapering ma anche con riferimento al ciclo di rialzi dei tassi, il cui avvio è stato infatti anticipato ulteriormente al FOMC del 15 dicembre, dal 2023 al 2022.
In questa sede la Fed ha annunciato un’accelerazione del tapering che dovrebbe portare a terminare gli acquisti netti a marzo, in modo da poter iniziare ad alzare i tassi già a giugno. Infatti ora la Fed prevede tre rialzi (di 25pb) nel 2022, tre nel 2023 e due nel 2024, con punto di arrivo nel più lungo termine invariato a 2,5%.
Il nuovo profilo va sostanzialmente ad allineare la Fed con il mercato, che già in precedenza scontava tra i cinque e i sei rialzi tra il 2022 e il 2023. La Fed giustifica il nuovo sentiero di policy con l’accresciuto rischio inflazionistico in un contesto però di miglioramento del quadro occupazionale e di crescita. Ha infatti rivisto al rialzo la crescita attesa l’anno prossimo da 3,8% a 4,0%, dopo il 5,5% stimato per quest’anno, rivedendo al ribasso da 3,8% a 3,5% il tasso di disoccupazione, e al rialzo da 2,2% a 2,6% l’inflazione.
La crescita è poi attesa in decelerazione successivamente, a 2,2% nel 2023 (rivisto al ribasso da 2,5%) e 2,0% nel 2024, il tasso di disoccupazione è previsto stabilizzarsi a 3,5% nello stesso periodo, e l’inflazione è vista in calo a 2,3% nel 2023 (ritoccata al rialzo da 2,2%) e 2,1% nel 2024. Nonostante la revisione migliorativa dello scenario macro per il 2022, la Fed sottolinea di essere comunque pronta a modificare il sentiero di policy se necessario qualora il perseguimento degli obiettivi di occupazione e di inflazione venisse compromesso, il che apre alla possibilità di un rialzo dei tassi aggiuntivo nel 2022 in caso di ulteriori pressioni inflazionistiche.
Il nuovo scenario Fed dovrebbe essere solo parzialmente favorevole al dollaro, ovvero fintantoché il sentiero (atteso) di normalizzazione della politica monetaria resta più rapido e/o marcato rispetto alle altre principali banche centrali, il che dovrebbe offrirgli ancora un vantaggio tendenzialmente circoscritto al breve termine, per due ragioni:
(i) nel breve la nuova incertezza provocata dal recente peggioramento della pandemia può infatti spingere buona parte delle altre principali banche centrali a mantenere un approccio cauto in termini di normalizzazione delle condizioni di policy
(ii) i maggiori rischi verso l’alto sull’inflazione dovrebbero emergere nel breve, per cui è in questa fase, non più avanti, che la Fed potrebbe rivedere al rialzo il profilo atteso dei rialzi dei tassi quest’anno.
Il dollaro dovrebbe pertanto tendenzialmente consolidare nel breve (orizzonte a 1m-3m circa) ed eventualmente rafforzarsi ancora un po’. Successivamente, quando la distanza rispetto alle altre principali banche centrali inizierà ad accorciarsi, perché anch’esse si prepareranno alla svolta o andranno accelerando il processo di normalizzazione, si dovrebbe osservare una fase di tendenziale lateralità, destinata a sfociare in un moderato arretramento quando l’atteso miglioramento (“definitivo”) del quadro pandemico favorirà un più stabile miglioramento del sentiment di mercato, a detrimento delle valute che solitamente fanno da safe haven, come appunto il dollaro.
Complessivamente dunque si può dire che il trend rialzista del dollaro, che ha prevalso nel corso del 2021, dovrebbe essere in via di esaurimento, per cui l’upside dovrebbe essere limitato al breve termine.
I rischi dello scenario sono leggermente verso l’alto nel breve, ovvero per un dollaro che potrebbe rivelarsi più forte delle attese qualora la Fed optasse per un rialzo dei tassi in più nel 2022, e leggermente verso il basso successivamente, soprattutto in caso di eventuali delusioni dai dati USA (ad es. crescita meno forte a causa di un’inflazione più elevata e/o dell’accelerazione del processo di normalizzazione della politica monetaria) o di un miglioramento del sentiment di mercato globale più marcato al rientro della pandemia.
Report a cura di Intesa Sanpaolo – Direzione Studi e Ricerche