Credit crunch, uno sguardo al di fuori dell’Italia. Nella zona euro la portata del fenomeno non è stata omogenea.
Il rallentamento dell’economia della zona euro, conseguente allo shock post Lehman Brothers del 2008 e alla crisi del debito sovrano del 2011, ha avuto gravi ripercussioni sull’erogazione del credito bancario alle imprese italiane ed europee. La portata del credit crunch non è stata omogenea, a soffrire di più sono stati quei contesti bancari la cui struttura è stata ulteriormente indebolita dall’aumento di sofferenze.
Sergio Zocchi, CEO di October Italia: “La capacità degli istituti di credito di liberare risorse a favore dell’economia reale è limitata da diversi fattori, tra i quali un alto rapporto tra sofferenze e attivi. Il ricorso a canali di finanziamento alternativi consente alle imprese di dotarsi di una struttura patrimoniale meno esposta al canale bancario. Anche in Italia si stanno facendo strada strumenti complementari al credito bancario”.
Restrizione del credito bancario: uno sguardo al di fuori dell’Italia
Per capire la portata del credit crunch in Europa l’analisi si è concentrata sui dati della BCE riguardanti lo stock di prestiti alle imprese da parte delle banche francesi, tedesche, olandesi, italiane e spagnole, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2018.
La riduzione dell’offerta di credito bancario ha interessato più economie all’interno dell’Unione europea. Se gli istituti di credito di Francia, Germania e Olanda sono riusciti a reagire alle crisi del 2008 e del 2011 mantenendo lo stock complessivo dei prestiti su livelli stabili (o aumentandolo), la stessa cosa non può dirsi per il sistema bancario italiano e spagnolo.
Qui, infatti, nel decennio considerato, il volume complessivo dei finanziamenti alle imprese si è ridotto ad un tasso medio annuo pari rispettivamente al 2% e al 7%.
Il peso dei crediti deteriorati
Come mai alcuni stati europei hanno registrato tassi di crescita positivi e altri negativi?
Una prima spiegazione si può trovare nella diversa esposizione degli istituti bancari nazionali ai crediti deteriorati, meglio conosciuti con la sigla NPL (Non Performing Loans). Si tratta, essenzialmente, di esposizioni creditizie dove le banche soffrono difficoltà nella riscossione dei crediti.
Mentre in Germania, Francia e Olanda l’NPL ratio (inteso come il rapporto tra sofferenze e totale degli attivi bancari) è rimasto sotto soglie di controllo, in Italia e Spagna lo stesso rapporto è aumentato progressivamente, arrivando a toccare soglie pari al 14% e al 4,5% (fonte: World bank).
In entrambi i paesi questo incremento ha avuto il suo apice soprattutto a partire dal 2010, proprio nel momento in cui si sono mostrati i primi rilevanti segnali di riduzione del credito alle imprese.
Ciò conferma l’esistenza di una correlazione tra gli NPL e la riduzione di nuovi prestiti erogati da parte del canale bancario. La presenza di sofferenze ha imposto agli istituti di credito delle svalutazioni di bilancio dalle quali non ci si è potuti tutelare se non rivedendo le condizioni dei prestiti e diminuendo le nuove erogazioni. Su ciò ha influito negativamente anche l’introduzione da parte del legislatore europeo di requisiti patrimoniali e reddituali sempre più stringenti.
Lo stock di NPL, insieme a requisiti contabili sempre più stringenti, ha reso dunque necessaria l’adozione di criteri più rigidi sull’erogazione del credito e ciò ha interessato soprattutto i crediti alle imprese. Basti pensare al fatto che in Italia, secondo dati di PWC, nel primo semestre del 2018 il segmento “Corporate & SME” ha rappresentato la maggior parte dei crediti deteriorati, con un’incidenza del 68%.
La rilevanza dei crediti deteriorati e il loro legame con l’attività di erogazione del credito hanno colpito in misura evidente soprattutto in un paese come il nostro dove, alla fine del 2017, il rapporto tra NPL e totale degli attivi del sistema bancario si attestava al 14%, contro una media tra i paesi dell’Unione Europea del 3,72%.
Il progressivo aumento delle sofferenze detenute in portafoglio da parte degli istituti di credito italiani si motiva non soltanto alla luce della prolungata recessione che ha coinvolto l’eurozona.
Se i motivi fossero esclusivamente di origine macroeconomica non si spiegherebbe come mai le banche di altri paesi europei, anch’essi colpiti dalla crisi come la Francia o la Germania, abbiano invece visto ridurre l’incidenza dei crediti deteriorati sui propri bilanci.
Va rilevato che l’incremento degli NPL è stato causato anche da fattori “sistemici” come ad esempio le inefficienze nel recupero dei crediti, la lentezza dei procedimenti giudiziali civili e l’assenza di un mercato secondario delle esposizioni in sofferenza che permettesse alle banche italiane di cedere questi crediti, liberando risorse a favore delle imprese e dell’economia reale.
I timori sull’accesso al credito da parte degli imprenditori
È interessante notare come vi siano diverse percezioni, tra gli imprenditori europei, riguardanti il tema dell’accesso al credito.
Dalla “Survey on the access to finance of enterprises” della BCE è possibile rilevare come nei paesi con sistemi finanziari più solidi, che sono riusciti a mantenere lo stock di prestiti alle imprese e le sofferenze su livelli stabili, l’accesso al credito non figura tra le maggiori cause di preoccupazione.
Alle imprese è stato chiesto di indicare l’importanza dell’accesso al credito su una scala da 1 (per nulla importante) a 10 (estremamente importante). Le PMI greche considerano l’accesso ai finanziamenti come la principale causa di preoccupazione (con una valutazione media di 6,2), seguite da quelle portoghesi (5,4) e da quelle Italiane e irlandesi (entrambe a 4,7), rispetto ad una media dell’area euro pari a 4,3.
Commento a cura del Centro Studi October