Wirecard: cosa insegna l’insolvenza del psp tedesco

Wirecard era una delle 30 top imprese tedesche sul listino DAX della Borsa di Francoforte. Alla vigilia dell’insolvenza il valore delle sue azioni è crollato da 100 a 5 euro.

wirecard

Wirecard AG, la società di servizi finanziari e di pagamento digitali di Monaco di Baviera, nei giorni scorsi ha presentato istanza di insolvenza.

Non è più in grado di onorare le proprie obbligazioni finanziarie. Fino a ieri era una delle 30 top imprese tedesche sul listino DAX della Borsa di Francoforte. Alla vigilia dell’insolvenza il valore delle sue azioni è crollato da 100 a 5 euro. Si tratta del primo fallimento di un’impresa del DAX.

“E’ uno scandalo senza precedenti nel mondo della finanza”, ha dichiarato il ministro dell’Economia tedesco.

La necessità della riforma del settore dei servizi di pagamento sarà portata con urgenza all’attenzione del Consiglio europeo, che dal primo luglio è sotto la presidenza tedesca. E’ un settore finanziario importantissimo trattato, però, come “tecnologico” e, quindi, fuori dall’area bancaria che è sottoposta a controlli più stringenti.

Le attività di alcune filiali, come quella di Londra, sono state sospese. Moltissimi cittadini hanno avuto l’amara sorpresa di vedersi bloccate temporaneamente le proprie carte di credito gestite da Wirecard.

Nata nel 2002, sembra che, prima di fare il grande salto, la società abbia offerto i suoi servizi ai siti legati alle scommesse, un business online in forte ascesa. In seguito ha avuto una grande espansione in molti paesi soprattutto dell’Asia.

In Germania è arrivata a gestire i sistemi di pagamento elettronici di grandi imprese commerciali e finanziarie, come il colosso assicurativo Allianz, la catena di supermercati Aldi, ecc. Ha creato anche una banca, la Wirecard Bank AG con centinaia di migliaia di correntisti utilizzatori della sua carta di debito. Già nel 2018 e 2019 certe agenzie regionali bavaresi pare abbiano paventato il suo coinvolgimento in operazioni di riciclaggio di denaro sporco. Però senza alcuna conseguenza.

La Wirecard è un payment service provider (psp), un fornitore di servizi di pagamento. Tra i suoi clienti vi sono anche Visa e Martercard. Un psp offre servizi online ad enti, negozi e commercianti per accettare pagamenti elettronici, in particolare con carta di credito. In genere esso può connettersi a più banche, a carte e a sistemi di pagamento. Ciò rende il commerciante meno dipendente dagli istituti finanziari e libero dal compito di stabilire direttamente queste connessioni, specialmente quando opera a livello internazionale.

E’ ancora presto per capire appieno le cause e le ragioni vere di questo fallimento. Circa 2 miliardi di euro registrati tra gli attivi di bilancio sarebbero “aria fritta”, pari, però, a circa un quarto dell’intero bilancio societario.

Sarebbero stati depositati su due banche delle Filippine che però negano ogni contatto con la Wirecard. I 3,5 miliardi di debiti registrati in bilancio, invece, sono veri. Gli investigatori tedeschi per il momento accusano i responsabili della società di aver falsificato i volumi di affari con false entrate per attirare investitori e clienti. Alcuni parlano di una “frode ben elaborata e raffinata”. In Italia definiremmo l’intera faccenda con termini ben più precisi, molto di più di una grande truffa.

E’ certo che tutte le agenzie di controllo e di supervisione interne ed esterne hanno fallito miseramente. L’audit è stato espletato dal ben noto revisore dei conti, l’agenzia internazionale privata Ernst & Young, che afferma di essere stata “ingannata”. Una giustificazione un po’ tardiva… Anche su questi fondamentali aspetti un’attenta indagine dovrebbe ovviamente essere aperta.

I resoconti sul caso si sono concentrati quasi esclusivamente sull’audit interno che, nonostante certi dubbi espressi anche negli anni precedenti, aveva approvato il bilancio del 2018. Ma è venuto meno soprattutto il ruolo di controllo delle autorità pubbliche tedesche.

Quello dell’Abschlussprüferaufsichtstelle, un’agenzia troppo piccola, per quanto riguarda il lavoro dei revisori dei conti e quello della BaFin (Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht), l’equivalente della nostra Consob, per quanto riguarda la verifica dei conti. Anzi, sembra che Wirecard sia stata capace di dirottare le indagini su chi in passato ha espresso forti perplessità sulla solidità e sulla veridicità dei suoi bilanci.

In un’audizione al Bundestag, la BaFin ha rivelato una falla importante nel sistema di controllo finanziario tedesco: una scappatoia legislativa avrebbe permesso a Wirecard di ottenere la licenza di creare una banca, la Wirecard Bank, ma contemporaneamente di sottrarsi alla sorveglianza e alle regole bancarie, tra cui l’obbligo di tenere una riserva di capitale per coprire eventuali perdite.

La vicenda assai inquietante propone con urgenza la generale questione della separazione bancaria. Se vi fosse stata, la Wirecard Bank sarebbe stata scorporata dall’impresa madre e sottoposta ai controlli propri del sistema bancario. Di conseguenza, i suoi correntisti avrebbero ricevuto automaticamente la garanzia per i loro depositi fino a 100.000 euro.

Ciò pone la necessità di migliorare l’attività di controllo dell’Unione europea per superare le resistenze e gli ostacoli spesso posti dai singoli paesi in materia di supervisione delle attività bancarie e finanziarie e di lotta all’evasione fiscale e al riciclaggio.

Intanto sono emerse anche importanti questioni relative alla sicurezza del sistema di pagamento attraverso psp e alla protezione e alla garanzia dei fondi dei cittadini gestiti con tali metodi. Non è una cosa da poco. Visto che ovunque, anche in Italia, si tende a limitare i pagamenti in contanti e rimpiazzarli con l’uso digitale di carte di credito online. C’è da riflettere.

La Wirecard è stata, neanche a dirlo, tra i principali promotori della “cashless society”, una società senza contanti, da realizzare pienamente in tempi brevi. La prospettiva potrebbe essere interessante, ma a condizione che i singoli governi garantiscano che una “Wirecard story” non si ripeta mai più.

Commento a cura di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

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