Nel 2016 l’economia statunitense resterà la locomotiva mondiale, con una crescita del 2,8% dopo il 2,6% del 2015, spinta dalla domanda interna.Cosa ha in serbo il 2016 per gli investitori.
Se paragoniamo le nostre previsioni economiche iniziali con il risultato effettivo del 2015, dobbiamo ammettere che i tassi di crescita mondiale hanno di nuovo deluso le nostre aspettative. Le cause non sono da ricercare né negli USA, colpiti da un primo trimestre debole a causa di fattori meteorologici eccezionali, né nell’eurozona, che ha evidenziato un’ammirevole resistenza. La radice del problema risiedeva nella persistente debolezza delle economie emergenti. L’effetto combinato del rallentamento economico in Cina e del crollo dei prezzi delle materie prime ha inferto un duro colpo ai mercati emergenti, soprattutto Brasile e Russia (vedi grafico 1).
Grafico 1: il calo dei prezzi delle commodity ha frenato la crescita in Russia e Brasile [PIL reale, variaz. anno su anno in % Rendimento totale, variaz. anno su anno in %]
Fonte: Bloomberg, Thomson Reuters Datastream, Vontobel Asset Management
Nel 2016 prevediamo che l’economia statunitense rimanga la locomotiva mondiale, con una crescita del 2,8 percento dopo il 2,6 percento del 2015, sotto la spinta della sostenuta domanda interna che riesce a mitigare gli effetti negativi delle esportazioni deboli e di un’attività produttiva piatta. Nel complesso, i fondamentali degli USA rimangono decisamente favorevoli: il rafforzamento del mercato del lavoro favorisce infatti i consumi, che rappresentano il 69 percento del prodotto interno lordo statunitense. Di fronte alla forza del dollaro, alle mediocri prospettive dei mercati emergenti e alle scarse pressioni inflazionistiche pensiamo che la U.S. Federal Reserve (Fed) procederà con i piedi di piombo, iniziando ad alzare i tassi di interesse nel dicembre 2015, ma puntando sulla cautela nel ritmo delle manovre restrittive dell’anno prossimo. L’eurozona beneficerà dell’indebolimento dell’euro, dell’attuale ripresa della cosiddetta periferia e di politiche di bilancio leggermente più espansive in alcuni paesi. Tuttavia la transizione dell’economia cinese dall’export e dall’industria pesante verso il terziario esercita una forte pressione sulle esportazioni dei mercati emergenti verso la Cina e sui prezzi delle materie prime in generale.
«Tori azionari» e segni di affaticamento
Cosa significa tutto ciò per i mercati finanziari? Mentre la combinazione di una modesta crescita mondiale e di politiche monetarie in gran parte espansive favorisce le attività rischiose come le azioni, le valutazioni sono – nella migliore delle ipotesi – eque e gli utili societari non accennano a salire. Il modesto potenziale di rialzo e la crescente volatilità richiederanno un approccio più tattico nei confronti degli investimenti e la selezione sarà un elemento cruciale. In un tale contesto prevediamo lievi perdite per i titoli di Stato dei paesi “core” dell’eurozona – cioè essenzialmente la Germania – e degli USA. Allo stesso tempo, i segmenti del credito, come le obbligazioni societarie high-yield, dovrebbero performare discretamente visto che la recessione è altamente improbabile. L’eventualità di una ripresa delle azioni e delle obbligazioni dei mercati emergenti dipende in grande misura dalla stabilizzazione dei mercati delle materie prime. L’attuale risposta sul fronte dell’offerta non sembra sufficiente a riportare equilibrio sui mercati perché i produttori cercano di mantenere o addirittura aumentare la loro produzione per sostenere i flussi di cassa. In un tale ambiente si osserva una sorprendente divergenza tra le politiche monetarie: la Fed alzerà probabilmente i tassi nella sua seduta del 15/16 dicembre, mentre la Banca centrale europea ha già accennato “indirettamente” a un ampliamento del suo programma di “quantitative easing” il 3 dicembre. Queste politiche divergenti tra le due sponde dell’Atlantico imprimeranno maggiore forza al greenback, anche se la valuta americana non è già più a buon mercato. In generale, le prospettive di cospicui rendimenti sui mercati finanziari sono relativamente modeste perché le autorità monetarie, con la loro iperattività, hanno spinto le valutazioni a livelli elevati.
Mercati emergenti: una spada di Damocle
Il nostro scenario principale si basa sull’ipotesi di una stabilizzazione della crescita mondiale al di fuori degli USA. Uno scenario decisamente pessimistico, ma poco probabile, sarebbe il seguente: un’ondata di default nei mercati emergenti, dove le imprese hanno accumulato una forte leva finanziaria, potrebbe distruggere la fiducia degli investitori e tarpare le ali alla crescita economica e agli utili. Un’altra fonte di preoccupazione è l’avanzare in Europa di partiti politici che rivendicano la fine dell’austerity e mettono addirittura in questione i principi fondamentali che reggono le istituzioni e le politiche del Vecchio Continente. D’altro canto, in uno scenario più ottimistico (in termini economici, ma non necessariamente in termini di mercati finanziari), un’economia statunitense forte potrebbe risvegliare il resto del mondo dal suo torpore e gettare le basi per un’inversione di tendenza dei prezzi delle commodity. Un tale sviluppo spingerebbe a sua volta la Fed ad attuare un giro di vite più rapido del previsto, con conseguenze negative per i prezzi dei titoli di Stato e le attività che negli ultimi anni sono state favorite dalla caccia al rendimento. In tal caso potremmo assistere a una ripresa dei segmenti finora disdegnati dagli investitori, cioè i mercati emergenti e i produttori di materie prime. In effetti, le previsioni sui prezzi delle commodity e in particolare del petrolio saranno una variabile cruciale nel 2016, perché influenzeranno in grande misura la redditività di settori azionari chiave e la qualità del credito di numerosi emittenti dei mercati emergenti. Quanto attenderà ancora l’Arabia Saudita prima di costatare il successo della sua strategia, intesa a scacciare dal mercato il petrolio “ad alto costo”, cioè prevalentemente quello delle società di fracking americane? Il crollo dei ricavi dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) condurrà a un ripensamento strategico (vedi grafico 2)?
Grafico 2: i ricavi dell’Arabia Saudita scendono di pari passo con il prezzo del petrolio [Prezzo del petrolio al barile in dollari USA in miliardi di dollari]
Fonte: Thomson Reuters Datastream, Vontobel Asset Management
Per concludere: abbiamo intitolato il nostro scenario principale per il 2016 “Economia USA robusta, fiacca crescita mondiale” e le abbiamo attribuito una probabilità del 60 percento. I nostri portafogli sono posizionati di conseguenza: siamo ampiamente neutrali nelle attività rischiose, sottopesati nei titoli di Stato, nei mercati emergenti e nelle materie prime e sovrappesati nel dollaro USA. Deteniamo anche livelli di liquidità superiori alla media per essere in grado di cogliere eventuali opportunità. Il nostro livello di convinzione dipende ovviamente dalla situazione su scala mondiale. A seconda dei dati economici dovremo rivalutare quale dei nostri scenari è il più probabile. In ogni caso terremo sempre presente l’eventualità di notevoli oscillazioni delle diverse classi di attività.
Commento a cura di Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel