Correzione o mercato ribassista?

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Gli elevati margini delle imprese, pilastri del mercato azionario, sarebbero minacciati da un’accelerazione dell’inflazione salariale.
La recente ondata di vendite che ha interessato i mercati azionari, causata dalla revisione della politica di normalizzazione della Banca Centrale e dalla rivalutazione dei prezzi delle prospettive inflazionistiche in un contesto di forti pressioni salariali, può essere considerata come una correzione del mercato, sulla base di alcuni elementi.

Sebbene non giungano segnali di rischio sistemico, eventi di risk-off non possono essere esclusi. Anche il contagio con il mercato valutario, delle materie prime o monetario appare limitato. Ci aspettiamo limitate ricadute sull’economia reale derivanti dai recenti movimenti del mercato. Lo scenario fondamentale sta cambiando, ma dovrebbe rimanere favorevole alle azioni. Pertanto, è possibile alzare tatticamente il livello di rischio dell’azionario US (posizione Neutral).

Che cosa è successo?

In seguito alla recente ondata di vendite del 5 febbraio, i mercati azionari sono nuovamente crollati giovedì 8 con l’S&P 500 in calo del 3,75%. I titoli statunitensi sono entrati nella tipica zona di correzione con un calo del 10% rispetto al picco raggiunto il 29 gennaio 2018.

Voci non confermate suggeriscono che, a differenza di lunedì 5, quando le strategie sistematiche coincidevano apparentemente con i principali venditori, il calo successivo potrebbe essere in gran parte attribuito agli investitori attivi che vogliono ridurre il rischio. La vendita azionaria si è estesa a tutte le aree geografiche, temi e settori.

L’8 febbraio la volatilità implicita è rimbalzata a 33,5, in ogni caso al di sotto dei massimi osservati il 5 febbraio, quando gli ETF/ETN hanno accelerato il picco del VIX. Circa 3 miliardi di dollari di posizioni short sul VIX sono stati quasi cancellati.

Gli spread dei titoli high yield si sono ulteriormente ampliati l’8 febbraio, ma finora i mercati high yield si sono dimostrati relativamente resilienti. Nessun passo importante sul mercato valutario, nessun contagio alle materie prime anche se i prezzi del petrolio hanno continuato a scendere a 64,3 dollari al barile sul Brent.

I mercati monetari non hanno mostrato segni evidenti di stress. I tipici beni rifugio (oro, titoli di stato US, Bund tedeschi) non hanno beneficiato di questo episodio di risk-off.

Perché?

Le banche centrali stanno gradualmente ritirando il loro sostegno e la liquidità, divenuta meno abbondante, ha continuato a colpire gli asset a elevato valore. Il governatore del BoE Carney ha affermato giovedì che “probabilmente sarà necessario aumentare i tassi di interesse in misura limitata in un processo graduale, ma un po’ prima e in misura un po’ maggiore di quello che avevamo pensato a novembre”.

Questo commento, dal tono inaspettatamente aggressivo, ha ulteriormente alimentato la revisione dei prezzi delle aspettative di politica monetaria.

Le pressioni salariali hanno iniziato a rafforzarsi negli Stati Uniti, in Europa (dove l’accordo salariale tedesco concluso di recente potrebbe segnare la fine del controllo salariale) e persino in Giappone (anche se in misura minore).

Dalla metà di dicembre, i mercati obbligazionari sono stati caratterizzati da una progressiva normalizzazione monetaria e da una crescente prova del successo sul fronte della reflazione.

I rendimenti dei titoli di stato statunitensi e del Bund tedesco a 10 anni sono saliti di circa 50 pb, rispettivamente a 2,85% e 0,75%. Inoltre, gli elevati margini delle imprese, pilastri del mercato azionario, sarebbero minacciati da un’accelerazione dell’inflazione salariale.

Guardando avanti

Lo scenario fondamentale sta cambiando, ma probabilmente rimarrà favorevole agli asset di rischio. Continuiamo a credere che le azioni non siano entrate in un mercato ribassista. Non si possono escludere movimenti di risk-off, ma non giungono segnali di rischio sistemico.

Finora, la vendita azionaria non sembra abbastanza grande da influenzare significativamente le prospettive di crescita degli Stati Uniti. Abbiamo a lungo sostenuto che i salari e l’inflazione in generale aumenteranno negli Stati Uniti e riteniamo che ci siano ancora margini di miglioramento per questi trend.

Tuttavia, non crediamo che le pressioni salariali siano sufficienti a indebolire i margini di profitto nei prossimi mesi.

Tatticamente, alziamo il livello di rischio dell’azionario.

Sottopesiamo i Treasury statunitensi e continuiamo a preferire i Bund tedeschi e i titoli di Stato giapponesi (posizione Neutral).

Manteniamo una posizione di sovrappeso sull’inflazione US e neutrale su EMU. Preferiamo le azioni EMU e del Giappone a quelle degli Stati Uniti. Continuiamo a sottopesare gli high yield statunitensi che sembrano vulnerabili se l’avversione al rischio dovesse aumentare.

Commento a cura di Jeanne Asseraf-Bitton, Global Head of Cross-Asset Research

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