Le inefficienze della catena di distribuzione (supply chain) e l’incremento dei prezzi delle commodity spingono l’inflazione.
Mentre assistiamo alla lenta ripresa dell’economia reale, l’inflazione registra livelli sempre più elevati. Crediamo che tale incremento inflazionistico sia in buona parte influenzato dalle inefficienze della supply chain (catena di distribuzione) e dall’incremento dei prezzi delle commodity. Entrambi i fattori sono infatti ormai largamente diffusi in Nord America, in Europa e nel Regno Unito.
Stimiamo che l’improduttività della supply chain derivi dalla pandemia del COVID-19 e dai bassi livelli di occupazione. Il COVID-19 ha infatti mutato il comportamento d’acquisto dei consumatori, generando uno squilibrio tra domanda e offerta di vari prodotti, principalmente beni durevoli.
I settori maggiormente colpiti sono quello delle automobili, degli elettrodomestici e dei mobili. Secondo le nostre valutazioni, l’inefficienza legata a questi tre settori ha aumentato l’inflazione core PCE (basata sulle spese per i consumi personali) di 100 punti base negli Stati Uniti, ossia dell’1%.
L’inflazione core è la misura dell’aumento medio dei prezzi (e della diminuzione del potere d’acquisto della moneta) che non tiene conto dei beni che presentano una forte volatilità di prezzo: in particolare quelli dell’energia e quelli alimentari.
Diversamente, in Europa e nel Regno Unito l’impatto dei tre settori sull’inflazione è inferiore. A loro volta, i bassi livelli di occupazione hanno penalizzato l’efficienza della supply chain principalmente in Nord America e nel Regno Unito.
Infatti, negli Stati Uniti il livello di disoccupazione è ancora maggiore rispetto ai livelli pre-covid, registrando 7.5 milioni di disoccupati in più. Nel Regno Unito invece non vi sono mai stati così tanti posti di lavoro vacanti.
Stimiamo che quest’ultimo sia il risultato di due fattori: in primis, di una rapida domanda di posti di lavoro spinta dalla ‘riapertura’ post-pandemica; in secondo luogo, gli ostacoli posti dal COVID-19 hanno reso per molti difficile il rientro a lavoro.
Ad aggravare i livelli d’inflazione vi è l’innalzamento del prezzo delle commodity, che incrementa il prezzo delle materie prime fino a spingere il consumatore finale a pagare i prodotti ad un prezzo maggiore.
Infatti, reputiamo che questo fenomeno abbia incrementato l’inflazione PCE di 130 punti base (1,30%) negli Stati Uniti. L’inflazione PCE è un dato macroeconomico utilizzato dalla banca centrale americana Federal Reserve (FED) per monitorare l’inflazione e per orientarsi nelle sue scelte di politica monetaria.
Tale incremento inflazionistico si è manifestato anche in Europa, specialmente con l’inaspettato innalzamento dei prezzi del gas.
Infatti, ci aspettiamo che l’inflazione aumenti di 180 punti base nell’Eurozona, ovvero dell’1,80%, escludendo l’energia ed i prezzi degli alimenti.
Anche la produzione delle materie prime ha registrato dei costi elevati negli Stati Uniti, che stimiamo rappresentare circa il 3% dell’inflazione PCE core.
Considerando tali aspetti, crediamo che l’inflazione rimarrà costante al 3,60% fino al primo trimestre del 2022.
Tuttavia, ci aspettiamo che quest’ultima possa tornare al 2% (il livello target di molte banche centrali) entro la fine del 2022, principalmente perché stimiamo che il prezzo dei beni durevoli diminuirà in parte grazie all’efficientamento della supply chain stessa.
Commento a cura di Marco Oprandi – Cirdan Capital