Le motivazioni che giustificherebbero un taglio dei tassi da parte della Fed senza recessione.
Il meeting di questa settimana della Fed sarà probabilmente uno dei più importanti degli ultimi anni. Per la prima volta dal 2009, i mercati si aspettano quattro tagli dei tassi in un anno, con il primo previsto già a settembre. Cosa giustificherebbe un abbassamento così precoce quando i segnali di una recessione immediata sono ancora limitati?
A nostro avviso, tre elementi giustificherebbero un’ulteriore allentamento: in primo luogo, la forza del dollaro USA ha l’effetto di una stretta monetaria e la riduzione del differenziale di rendimento tra gli Stati Uniti e i suoi partner commerciali dovrebbe alleviare la pressione.
In secondo luogo, la Fed potrebbe contribuire ad attenuare l’impatto della guerra commerciale sull’economia reale. Infine, le pressioni e le aspettative di inflazione più basse stanno liberando le mani della Fed.
Ci aspettiamo, come minimo, che i suoi componenti non prevedano ulteriori aumenti per quest’anno, ma anche della volatilità dato l’elevato pricing del mercato. Un primo taglio a settembre avrebbe infatti un profondo effetto sui mercati, rafforzando ancora una volta le azioni e le obbligazioni nel medio termine.
Taglio dei tassi senza recessione
Gli investitori stanno prezzando una notevole sequenza di tagli nei prossimi due anni, due dei quali entro la fine di quest’anno. Cosa che è avvenuta solamente sei mesi prima dell’ultima recessione, nel luglio 2007.
Ci sono attualmente segni di recessione negli Stati Uniti?
Secondo il nostro Growth Nowcaster, l’economia statunitense è passata da un’espansione significativamente superiore al potenziale all’inizio del 2018 ad una forte e ripida decelerazione nell’ultimo periodo, il che ci ha portato a prendere seriamente in considerazione la probabilità di una recessione.
Attualmente il nostro indicatore di crescita negli Stati Uniti indica – nella migliore delle ipotesi – una sua stabilizzazione, il che ci fornisce solide motivazioni per preoccuparci per la potenziale fine del ciclo attuale. Il settore immobiliare ha iniziato a mostrare un deterioramento all’inizio dell’anno, mentre le aspettative (essenzialmente i numeri ISM) hanno continuato a calare fino a raggiungere livelli vicino alla zona di pericolo.
Tuttavia, nonostante questa decelerazione, vi sono poche prove che gli Stati Uniti siano in recessione o vicini ad esserlo, in quanto l’occupazione rimane solida, mentre il mercato immobiliare ha beneficiato del recente (e inaspettato) calo dei tassi, che negli ultimi sei mesi è sceso quasi ininterrottamente. Ci sono sacche di debolezza a livello macro (essenzialmente i consumi di beni durevoli) ma la dinamica descritta dai dati attuali è per ora meno preoccupante. Infatti, i livelli attuali non sono nemmeno lontanamente vicini a quelli di due anni prima della Grande Crisi Finanziaria.
Il confronto con il 1995
Se la recessione ancora non si vede, vi è però un interessante parallelismo con il 1995: alla fine di quell’anno, la Fed tagliò i tassi più volte senza che gli Stati Uniti fossero in recessione. All’epoca, le economie emergenti subirono un forte rallentamento economico, soprattutto l’America Latina.
Nel 1995 il Messico attraversò una recessione circa tre volte più grave di quella del 2008. L’intenzione della Fed di allora era sia di limitare la rivalutazione del dollaro USA rispetto alle altre valute latinoamericane, sia di attenuare il potenziale impatto della recessione nei principali partner commerciali.
Come vanno le economie emergenti oggi? Molto meglio rispetto al 1995, soprattutto l’America Latina (e in particolare in Messico). Secondo i nostri nowcasters, oggi l’anello più debole di questa catena economica emergente è la Cina: con l’impatto dello stimolo governativo di inizio anno alle spalle, l’economia sta mostrando ulteriori segni di debolezza. Data la guerra commerciale in atto con gli USA, questo è una degli esempi più solidi per capire il motivo per cui la Fed dovrebbe tagliare i tassi così presto.
Senza inflazione la Fed diventa un risk manager
Oltre ad una recessione attesa, ci sono in realtà due ragioni che potrebbero spingere la Fed a tagliare i tassi così presto. In primo luogo, i rischi esterni: per quanto riguarda la guerra commerciale tra USA e Cina, la Fed potrebbe fornire un certo sollievo dallo shock dei prezzi che colpirà i consumatori statunitensi prima o poi.
Gli esportatori non hanno abbassato i loro prezzi nonostante le tariffe, il che significa che il conto dei dazi sarà pagato dai consumatori e dalle aziende statunitensi. Se questo si tradurrà in uno shock negativo della domanda lo vedremo nei dati economici reali, trascinandosi la crescita nei prossimi trimestri.
Abbassando il suo tasso-obiettivo, la Fed potrebbe aiutare l’economia statunitense ad orientarsi in questo atteso shock esogeno.
In secondo luogo, gli Stati Uniti sono l’unica grande economia sviluppata ad aumentare i tassi di interesse dal 2008, poiché la Fed ha agito rapidamente e con forza all’inizio della crisi. Ciò ha determinato un ampio differenziale di tasso tra gli Stati Uniti e le altre economie del G10, che negli ultimi quattro anni ha dato luogo a un forte rafforzamento del dollaro USA.
Ciò ha un impatto netto negativo per l’economia statunitense e riflette anche la stretta ancora in atto: dall’inizio dell’anno, il bilancio della Fed ha subito una contrazione di circa 150 miliardi di dollari.
Gran parte di questi sono semplicemente i Treasury in scadenza presenti nel bilancio Fed, ed entro i prossimi sei mesi giungeranno a maturazione anche altri 155 miliardi di obbligazioni, riducendo ulteriormente la quantità complessiva dollari disponibili.
Con la riduzione dell’offerta, non c’è da stupirsi che il dollaro USA rimanga così forte. Questo è un rischio per l’economia e la Fed potrebbe legittimare i suoi tagli – senza dirlo in questo modo – semplicemente agendo da buon risk manager, alleviando una parte della pressione al rialzo sul biglietto verde.
Infine, l’indebolimento del livello e le previsioni di inflazione molto più basse negli Stati Uniti consentono alla Fed di svolgere questo ruolo attivo e alquanto insolito di risk manager. Con un tasso di pareggio decennale dell’1,6%, in calo rispetto al 2,1% di otto mesi fa, e un’inflazione di fondo al 2% e in calo, è difficile attendersi ulteriori aumenti dei tassi.
In conclusione, nonostante una recessione imminente sia improbabile, ci sono elementi che potrebbero giustificare le aspettative degli investitori riguardo al meeting della banca centrale americana.
Quali saranno le conseguenze per i mercati? Ci aspettiamo che questa settimana la Fed dichiari chiaramente che gli incrementi dei tassi sono terminati, in linea con le recenti comunicazioni. In questo scenario, i premi di rischio dovrebbero rimanere volatili, prima che inizi un’altra tappa del “beta party”. Se la Fed andrà oltre, c’è la possibilità di un rally del beta e di un aiuto per il dollaro USA che potrebbe andare a beneficio degli asset emergenti.
Commento a cura di Unigestion