Le banche italiane sono relativamente in buona salute. I coefficienti di solvibilità e liquidità aggregati sono ben al di sopra dei requisiti di Basilea III. Gli NPL seppur elevati sono in calo costante.
Dopo gli importanti salvataggi e l’avvio della ripresa economica, le banche italiane sono relativamente in buona salute: i loro coefficienti di solvibilità e liquidità aggregati sono ben al di sopra dei requisiti di Basilea III, gli NPL sono elevati ma in calo costante dal 2015 e non si sono verificate corse agli sportelli legate a timori di fallimenti bancari o di un’uscita dall’euro.
Tuttavia permangono motivi di preoccupazione, primo fra tutti il tema ricorrente della crisi del debito europeo. Le banche locali detengono un ampio stock di debito sovrano nazionale e sono quindi esposte al rischio nel caso di un forte aumento dei rendimenti governativi, ad esempio a seguito una grande espansione fiscale.
Anche la Banca d’Italia, nel suo recente rapporto sulla stabilità finanziaria, ha osservato che “le banche meno significative” (ossia le banche non controllate direttamente dalla BCE) detengono una quota maggiore delle loro attività nel debito pubblico nazionale rispetto al sistema bancario nel suo complesso.
Questo ci suggerisce che ci sono sacche di rischio nel sistema bancario italiano che vengono mascherate dall’aggregato.
Anche se i rapporti di solvibilità e liquidità per le singole banche italiane possono sostenere un declassamento del debito sovrano e qualsiasi svalutazione del capitale, la conseguente pressione sui loro bilanci porterà probabilmente ad un inasprimento delle condizioni del credito, limitando la domanda in un momento critico.
Al di là del settore bancario, l’impatto della nuova coalizione sui titoli azionari e obbligazionari italiani sarà probabilmente negativo, o almeno incerto. A nostro avviso, i rendimenti saranno in gran parte guidati dall’imprevedibilità delle forze politiche più che dai fondamentali, che in questa fase stanno migliorando, ma con il nuovo governo sembrano essere a rischio.
Inoltre, le imprese italiane traggono dal resto d’Europa molto più reddito rispetto a quanto le imprese europee traggano dall’Italia. Ciò implica che in uno scenario estremo di un’uscita dall’euro le imprese italiane soffrirebbero molto di più a causa degli attriti commerciali che seguirebbero.
Commento a cura di Salman Baig, Investment Manager CAS Team, e Stephane Dutu, Fundamental Analyst Equities Unigestion