Commento di Andrew Bosomworth, managing director di PIMCO, sulla decisione della BCE in merito al programma di quantitative easing (QE) e sulle implicazioni per i mercati e per gli investimenti.
“Il mancato perseguimento del nostro mandato sarebbe illegale“. È così che Mario Draghi ha concluso la sua ultima conferenza stampa del 2014. La prima del 2015 è iniziata con l’annuncio di un programma di quantitative easing (QE) che persegue il mandato inflazionistico della Banca centrale europea (BCE) in modo ancora più forte. Una scelta opportuna, dal momento che i trend deflazionistici nell’eurozona erano divenuti ancora più incerti, con un continuo calo della produzione economica e del prezzo del petrolio.
Le dimensioni del QE si situano nella parte alta delle aspettative del mercato. A partire da marzo 2015, la BCE intende acquistare obbligazioni per 60 miliardi di euro al mese fino a settembre 2016, il che significa poco più di mille miliardi di acquisti di asset di titoli di Stato e di enti pubblici di tutta l’Eurozona. In questo ammontare sono compresi anche i programmi di acquisto di covered bond e ABS già previsti.
L’elemento che distingue questo QE da quelli di altre banche centrali è il carattere illimitato implicito nel fatto che il suo arresto è legato a un momento futuro in cui “osserveremo un aggiustamento sostenuto dell’andamento dell’inflazione che sia coerente con il nostro obiettivo di conseguire tassi d’inflazione inferiori, ma prossimi al 2% nel medio periodo” (l’enfasi è mia). Con l’inflazione attualmente pari al -0,2% e previsioni BCE che la collocano all’1,3% nel 2016, peraltro elaborate prima che il prezzo del petrolio scendesse a 50 dollari al barile, un aggiustamento sostenuto dell’andamento dell’inflazione che riporti quest’ultima verso il livello obiettivo potrebbe richiedere parecchio tempo, aprendo le porte alla possibilità che gli acquisti proseguano oltre il 2016, il che ci induce a concludere che la BCE sta prendendo molto sul serio il suo mandato.
Inizialmente, eravamo preoccupati per il modo in cui le eventuali perdite sulle obbligazioni acquistate nell’ambito del QE potessero essere distribuite tra la BCE e i suoi 19 azionisti, le banche centrali nazionali (BCN), ma alla fine siamo giunti alla conclusione che la condivisione del rischio non è assolutamente un problema: il 20% delle obbligazioni acquistate dalla BCE e dalle BCN sarà oggetto di condivisione del rischio, mentre l’80% non lo sarà. Per quanto riguarda quest’ultima parte, ogni BCN acquisterà obbligazioni del proprio Stato e si accollerà il rischio ad esse connesso. Nell’eventualità di una perdita, solo la BCN di uno Stato in default parteciperebbe alla perdita. Ma la cosa più importante di tutte è che, dal momento che le banche centrali possono operare con un capitale proprio negativo e che i crediti delle banche commerciali sulle riserve create dal QE possono essere fatti valere in tutta l’Eurozona, la condivisione del rischio è, come ha detto Draghi nella conferenza stampa, “irrilevante”.
Funzionerà il QE? Non illudiamoci: la politica monetaria può aiutare a mantenere il controllo sul ciclo economico, ma una crescita sostenibile deriva in definitiva dagli investimenti, dalla produttività e dalla crescita della popolazione. E affinché si giunga a ciò, sia il settore privato che quello pubblico dovranno fare la loro parte.
Le autorità europee sembrano aver raggiunto una sorta di “grand bargain”, di ampio accordo che lascia pensare che il QE avrà successo. La BCE ha fatto la sua parte. La Commissione europea sta coordinando un fondo di investimenti infrastrutturali in partnership pubblico-privato che spera raggiungerà i 300 miliardi di euro, e diversi governi nazionali stanno intraprendendo seriamente riforme strutturali. Il premier Matteo Renzi si distingue per le iniziative di riforma del mercato del lavoro, del sistema elettorale e del settore bancario in Italia, e sebbene non tutte le riforme siano state ancora tradotte in legge, su questo fronte l’Europa sta senz’altro cambiando in meglio.
Implicazioni per i mercati e per gli investimenti
Quale sarà l’impatto sul mercato e quale strategia di portafoglio consideriamo per il futuro? Una generalizzazione delle esperienze di QE negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Giappone suggerisce che un simile programma è favorevole per gli asset rischiosi e per l’oro e sfavorevole per la duration e per il valore esterno della moneta che viene stampata. Sebbene il Giappone rappresenti un’eccezione sul fronte della duration, riteniamo che l’Eurozona evidenzierà dinamiche simili a quelle di altri paesi che hanno adottato il QE.
I titoli di Stato dei paesi periferici hanno registrato buone performance in passato, ma non vediamo particolari motivi per venderli. Con rendimenti del 2,7% sulle emissioni pubbliche italiane e spagnole a più lungo termine, il differenziale non è insignificante rispetto ad obbligazioni tedesche di pari scadenza. Ci aspettiamo che questi spread si riducano.
Continuiamo a ravvisare opportunità nelle obbligazioni societarie investment grade e high yield. Le azioni bancarie dell’Eurozona e le obbligazioni bancarie subordinate hanno sottoperformato i corrispondenti mercati dei titoli di Stato di recente, e gli interventi della BCE sembrano prefigurare la possibilità di un certo recupero.
Spostandoci più verso l’esterno di quelli che PIMCO chiama i cerchi concentrici dell’investimento, ossia verso asset class meno liquide e a più alto rischio, come gli investimenti immobiliari e il debito in sofferenza, anche in questo caso l’allentamento della politica monetaria dovrebbe avere un impatto positivo. Il team di analisti esperti di PIMCO dedicati al mercato immobiliare e al private equity sarà al lavoro nei prossimi mesi per individuare le opportunità in questi settori.
Riteniamo meno interessanti i bassi rendimenti dei titoli di Stato tedeschi e l’esposizione valutaria all’euro. L’aumento di 33 euro del prezzo di un’oncia d’oro alla chiusura delle contrattazioni di giovedì (22 gennaio) in Europa dimostra quel che può succedere quando l’offerta di un asset aumenta rispetto a quella di un altro. L’euro continuerà probabilmente a deprezzarsi.
Più in generale, dobbiamo considerare anche le ripercussioni globali delle decisioni della BCE. L’economia mondiale ha attraversato 35 anni di disinflazione sostanzialmente ininterrotta, culminata in una politica di tassi a zero e in un QE in tutti i principali mercati sviluppati. Sebbene si sia tornati ad assistere a fasi di espansione del ciclo economico negli Stati Uniti e nel Regno Unito, il notevole peso del rallentamento della crescita nel resto del mondo, soprattutto se si considerano anche la Cina e i mercati emergenti, e le dinamiche demografiche di invecchiamento della popolazione avranno implicazioni sui livelli fino ai quali la Federal Reserve e la Banca d’Inghilterra potranno normalizzare i propri tassi ufficiali.
I mercati continuano a credere nella capacità delle banche centrali di orchestrare scenari economicamente desiderabili. Se questa convinzione dovesse essere messa in dubbio, e le banche centrali gettassero la spugna come ha fatto la Banca nazionale svizzera, la disinflazione potrebbe trasformarsi in deflazione da debito. Per il momento almeno, la BCE soffierà sui carboni del fuoco reflazionista.